Oltre 370 morti: "Giusto un riconoscimento"

I ministri Speranza e Bonetti hanno stanziato un fondo di 15 milioni per tutelare le famiglie delle vittime sul lavoro non coperte da Inail

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Per due anni giornali e tv hanno descritto quella contro il Covid come una guerra, con medici e infermieri in prima linea, e il paragone regge anche quando si legge il numero dei caduti: 216 tra medici di famiglia, guardie mediche, specialisti ambulatoriali e del pronto soccorso, 30 odontoiatri e oltre 90 infermieri. A sommare tutti i camici bianchi, sono oltre 370 morti sul lavoro nelle corsie degli ospedali o nei loro ambulatori.

Nelle scorse settimane, per risarcire le loro famiglie, i ministri della Salute, Roberto Speranza, e delle Pari opportunità, Elena Bonetti, hanno stanziato un fondo di 15 milioni di euro che servirà a tutelare anche chi non era coperto dall’Inail. "Un giusto riconoscimento che l’Italia deve a chi ha svolto il proprio lavoro per tutelare la salute di tutti noi", ha spiegato il ministro della Salute, Speranza.

Molti di loro sono lombardi. Nel primo anno di Covid, quello più letale visto che i vaccini non erano ancora disponibili e l’unico strumento per cercare di arginare la pandemia erano le mascherine, solo nella nostra regione si contagiarono oltre 12mila sanitari, 3mila dei quali impiegati nella Rsa, e alla fine i decessi furono 76. Il numero più alto delle vittime si registrò tra i medici: 35 di loro lavoravano nelle strutture di ricovero e 18 in quelle di medicina generale, poi ci furono 6 infermieri, 1 ostetrica, 9 Oss, 1 tecnico sanitario, 2 altri operatori sanitari, a cui vanno aggiunti 4 operatori con profilo non sanitario.

Nei primi sei mesi di pandemia risultarono positivi al Covid 2.755 medici, 4.952 infermieri, 102 ostetriche, 1.917 Oss, 550 tecnici sanitari, 837 altri operatori sanitari e 1.074 operatori con profilo non sanitario, a cui si aggiungono 436 medici di base. Una percentuale che oscilla tra il 7 e l’8% del totale dei camici bianchi in Lombardia.

Un vero e proprio bollettino di guerra che ha contribuito, se possibile, a rendere sempre meno appetita questa professione in Lombardia. Lo sanno bene le aziende ospedalieri e le strutture sanitarie in generale che faticano a coprire tutti i posti in organico per la mancanza di medici e infermieri, che non si trovano o rifiutano di prestare servizio nelle sedi che ritengono, a torto o a ragione, più disagiate in termini di orario o distanza dal loro domicilio.

Roberto Canali