Maestra trovata morta nel bosco: la vita di Nadia Arcudi al setaccio

A questo punto le indagini, che non mostrano di poter essere chiuse a breve, devono far luce per prima cosa sul movente

Nadia Arcudi (Cusa)

Nadia Arcudi (Cusa)

Rodero, 19 novembre 2016 - Un lento e minuzioso lavoro di ricostruzione di ciò che girava attorno alla vita di Michele Egli e di Nadia Arcudi, per arrivare a capire ciò che le indagini e la confessione del tecnico informatico quarantaduenne non hanno ancora rivelato circa i motivi che lo hanno spinto a uccidere sua cognata, maestra elementare di 35 anni, aggredita e soffocata nella sua camera da letto la sera del 14 ottobre a Stabio, Canton Ticino. Perché l’aspetto che manca è esattamente questo: il movente.

Da un lato, gli aspetti economici sembrano essere stati accantonati dagli inquirenti elvetici, perché troppo poco rilevanti per poter sostenere che il cognato potesse avere un interesse così forte e personale da arrivare a uccidere la donna. Dall’altro il motivo passionale, riconducibile a un possibile legame tra i due, o a una infatuazione di Egli per la vittima, finora non ha trovato conferme concrete. Anche se rimane l’unica ipotesi plausibile. A questo punto le indagini, che non mostrano di poter essere chiuse a breve, devono far luce per prima cosa sul movente, dopo la confessione dell’unico indagato che ha ammesso l’omicidio e l’occultamento del cadavere, gettato in un bosco di Rodero dove è stato trovato due giorni dopo. Ma è necessario anche capire meglio le modalità dell’omicidio, se la donna sia stata stordita prima di essere soffocata, probabilmente con un sacchetto di plastica avvolto attorno alla testa. Per poi avvolgerla nel tappeto della sua camera, metterla nel baule e scaricarla oltreconfine. Gli esami tossicologici disposti dalla Procura di Cimo, che svolge un’indagine parallela a quella svizzera, arriveranno tra qualche settimana, e forse daranno le prime risposte.