Medico accusato di violenza: cinque donne parte civile

Ispezioni ginecologiche subite per patologie che non lo richiedevano

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Il processo si è aperto ieri, con cinque donne costituite parte civile contro Stefano Pozzi, 49 anni di Valsolda, sostituto medico di base nella zona di Porlezza, accusato di violenza sessuale. Accuse che lui nega, decidendo così di andare a processo dibattimentale e portare a testimoniare in aula quelle pazienti che, rintracciate dai carabinieri di Porlezza durante le indagini, avevano raccontato una serie di particolarità delle visite. Gli abusi sessuali, secondo le contestazioni, sarebbero avvenuti mentre svolgeva ambulatorio in sostituzione del medico di base, nel periodo compreso tra 2012 e 2017, quando era giunta la prima denuncia da parte di una giovane paziente. È stata la prima testimone ascoltata ieri: davanti ai giudici, ha ricordato come il medico si era approcciato, e delle perplessità che le erano rimate all’uscita dall’ambulatorio.

Tuttavia, prima di rivolgersi ai carabinieri, aveva chiesto il parere di altri due medici, per verificare se quello adottato con lei dal dottor Pozzi, fosse il protocollo abituale. Le risposte che aveva ottenuto, l’avevano spinta a presentare denuncia contro il sostituto del suo medico di base. Nelle settimane successive, tutte le donne rintracciate e ascoltate, avevano raccontato di ispezioni ginecologiche subite per patologie che non richiedevano accertamenti con quel grado di invasività: disturbi di vario genere, localizzati nelle zona addominale: gonfiore al ventre, sintomi di cistite, dolori al fianco, problematiche legate al ciclo mestruale. In un caso anche semplici informazioni relative a una interruzione di gravidanza. Per tutte la risposta sarebbe stata sempre la stessa: possibile infiammazione alle ovaie e necessità di una ispezione. Ieri sono state sentite altre tre pazienti e due medici, tra cui il titolare dell’ambulatorio, e il comandante dei carabinieri di Porlezza. Ad agosto 2018, Pozzi era stato arrestato, e aveva trascorso un periodo di custodia cautelare ai domiciliari durante il quale gli era stata notificata anche la sospensione dall’esercizio della professione, decaduta con il venir meno della misura cautelare. Ma il medico, deciso a sostenere la correttezza del suo operato, ha deciso di affrontare il processo, e portare testimoni a sostegno della sua professionalità.

Pa.Pi.