Erba, Enzo Ciconte: "La mafia crea consenso anche sui social"

Il professore, uno dei massimi esperti delle grandi associazioni mafiose, è intervenuto mercoledì sera a Erba in una delle serate del ciclo "4 colpi all'ndrangheta". “Una volta i mafiosi erano costretti a fare le riunioni. Oggi fanno una chat su WhatsApp".

Ezio Ciconte

Ezio Ciconte

Erba (Como), 20 aprile 2018 - L’antimafia in prima serata, questa volta dal vivo e nei paesi dell’Alta Brianza toccati dalle inchieste degli ultimi anni che hanno riacceso i riflettori sulla presenza dell’ndrangheta nel Comasco. Sta avendo un bel successo di pubblico la rassegna “4 colpi all’ndrangheta” organizzata dal Circolo Ambiente Ilaria Alpi in queste settimane. Nella serata di giovedì in Sala Isacchi a Erba è intervenuto il professore Enzo Ciconte, docente di “Storia della criminalità organizzata” all’Università di Roma tre e volto noto per chi si occupa di infiltrazioni mafiosi in Italia e in Lombardia.  In una sala gremita Ciconte ha parlato di omertà e del potere comunicativo della mafia attraverso le nuove tecnologie.

“Ci dovremmo scrollare di dosso il fastidio di parlare di certe cose - ha esortato il professore -. Anche perché gli uomini di ‘ndrangheta hanno sempre trovato il modo di parlare a tutti noi senza mai pronunciare una parola. Ad esempio quando viene ritrovato un morto incaprettato sappiamo tutti benissimo che si tratta di un omicidio di mafia. Un morto ammazzato con dei soldi nel taschino? E’ qualcuno che ha rubato all’organizzazione. Un sasso in bocca? Perché ha parlato troppo...Il messaggio è fin troppo chiaro. Non c’è bisogno di mettere i manifesti”. Secondo il professore Ciconte il messaggio è ancora più esplicito proprio quando arriva a chi non ha nulla a che fare con la mafia: “Fatevi i fatti vostri”.  “È questo il codice più efficace: fatevi i fatti vostri. Vi pare normale in un paese civile che tanti criminali siano a piede libero mentre magistrati e giornalisti girano con la scorta? Dalle parole non dette a quelle diffuse attraverso le nuove tecnologie e i social media. 

“Una volta i mafiosi erano costretti a fare le riunioni con il rischio di essere intercettati o peggio finire nel bel mezzo di una retata - ha spiegato il professore -. Oggi fanno una chat su WhatsApp. Usano le parole, i codici per fare propaganda, per stare sempre accanto ai carcerati. Usano la simbologia, come quel boss che il giorno prima di finire in carcere per 20 anni ha postato su Facebook “questa sera mangiata di pesce” con una bella foto della tavolata. Sapete perché lo fa? Per dimostrare di non avere paura. Per mostrare il suo potere anche prima di una condanna come quella”.  Spesso i social funzionano come mezzo per diffondere il controllo sul territorio e sulle persone. 

“Sapete cosa succede quando qualcuno nella cerchia mette “mi piace” ai post di un mafioso? Che quando si accorge che non lo mette più ai post successivi o non lo segue, lo contatta in privato e gli chiede: “C’è qualcosa che non va? Posso fare qualcosa? E questo è un modo chiaro per mantenere il controllo sulle persone. Non credo che facciano proselitismo come i terroristi dell’Isis, ma attraverso i social mantengono il consenso. Anche perché siamo in un periodo in cui la mafia sta perdendo questo consenso e utilizza tutti i mezzi per diffondere il messaggio. Ecco perché dobbiamo essere preparati e sempre capaci di studiare il fenomeno. Dobbiamo sapere come comunicano”.  Il prossimo appuntamento con la rassegna è fissato per il 3 maggio a Eupilio. Alle 21 nella sala consigliare di via Strambio 9 si svolgerà l’incontro “La ’ndrangheta, dal sequestro di Cristina Mazzotti ad oggi“. Interverranno la professoressa Eleonora Montani, docente di criminologia all’Universitò Bocconi di Milano e il giornalista Emilio Magni.