Don Malgesini ucciso a Como: "A Roberto va fatto un monumento"

I suoi “ragazzi“ chiamavano con il solo nome il religioso ucciso: un angelo in jeans e maglietta

Lo strazio di chi lo conosceva bene

Lo strazio di chi lo conosceva bene

Como, 16 settembre 2020 - «Chi era don Roberto? Un povero tra i poveri, e poi non sembrava neanche un prete. Indossava la tonaca giusto quando diceva Messa, altrimenti lo trovavi in giro in jeans e maglietta. Era l’amico degli ultimi, l’angelo della notte, quello al quale bussavi quando tutte le porte ti erano state chiuse in faccia. Ci chiamava “ragazzi“, anche se era più piccolo di molti noi e noi lo salutavamo per nome, Roberto e basta. Glielo avevo detto un po’ di tempo fa che, quando se ne sarebbe andato da San Rocco, gli dovevano fare un monumento grande come una chiesa. Adesso purtroppo glielo dovranno fare davvero".

Non riescono a trattenere le lacrime i “ragazzi“ di don Roberto Malgesini, sono uomini e donne che la vita ha messo alle corde, qualcuno dorme ancora per strada, qualcun altro ce l’ha fatta grazie al suo aiuto. «Per me era un santo, l’unica persona che non mi ha mai chiuso la porta in faccia – ricorda Gabriel Nastase Alexandre che, appena arrivato in Italia dalla Romania, ha conosciuto la difficile vita della strada – La sua regola era aiuto per tutti e soldi a nessuno, se avevi fame di dava da mangiare, se avevi freddo una coperta o un letto dove dormire. Era un amico e faceva del bene a tutti, è grazie a lui se ho trovato un lavoro".

Enrico arriva dal Ghana e rispetto a tanti suoi connazionali è un privilegiato perché ha un posto al dormitorio. Ieri mattina è stato uno dei primi ad arrivare alla chiesa di San Bartolomeo. "Sono arrivato qui alle 7.30 e c’era la polizia – racconta – Oggi sono troppo triste, don Roberto era mio amico. Due mesi fa mi sono fatto male a una spalla e lui mi ha portato con la sua auto all’ospedale e ha aspettato che finissero di visitarmi. Il referto medico è ancora a casa sua, se l’era tenuto perché non ho un posto sicuro dove tenerlo e tra qualche settimane mi devono operare".

È arrivata con un fiore da deporre sul muretto dell’aiuola di fronte alla quale è stato ucciso don Roberto la signora Angela Soldano. "Era un angelo del Signore, chi l’ha conosciuto può parlarne solo bene – spiega con un filo di voce – Il suo modo di fare il sacerdote sembrava ispirato da San Francesco, amava stare gli ultimi e per loro ha donato la vita".

Tra i primi a raccogliersi in preghiera, ieri mattina, di fronte al luogo in cui è stato ucciso don Roberto Malgesini c’era un altro prete degli ultimi, don Giusto Della Valle, che dall’altra parte della città, a Rebbio, ha aperto l’oratorio per i migranti e in particolare per i minori non accompagnati in fuga dall’Africa. "Don Roberto ha vissuto fino in fondo il Vangelo di Gesù e come lui ha donato la sua vita – l’ha ricordato – In questo momento è difficile trovare le parole per lenire un dolore che tutti sentiamo così vivo, ci rimane il ricordo del bene che ha fatto fino all’ultimo istante. La persona che l’ha ucciso era malata e probabilmente meritava un luogo diverso dove stare rispetto alla strada. Al di là delle responsabilità individuali, che riguardano il lavoro dei giudici e dei magistrati, c’è una responsabilità collettiva che tocca ognuno di noi. Di sicuro in questa città e non solo qui c’è un problema legato alla presenza di tante, troppe persone che vivono relegate ai margini. Da tempo si discute sull’opportunità di aprire un nuovo dormitorio, sappiamo tutti che non esiste un’unica soluzione, ma l’importante è iniziare ad affrontare il problema".