Omicidio Cristina Mazzotti nel 1975, riaperte le indagini: quattro nuovi indagati

Terza inchiesta della procura di Milano. La 18enne era figlia di un industriale comasco: rapita e chiesto un riscatto, ma la ragazza morì durante il sequestro

Cristina Mazzotti

Cristina Mazzotti

Milano, 30 aprile 2022 - Novità sul caso di Cristina Mazzotti, la 18enne sequestrata a scopo di estorsione e poi uccisa nel 1975. E' stata infatti aperta a Milano una terza e nuova inchiesta da parte della procura del capoluogo lombardo con quatto indagati nella vecchia 'mala' milanese vicina alla 'Ndrangheta. Come riportato oggi da vari organi di stampa, i pm milanesi Alberto Nobili e Stefano Civardi, sulla base del lavoro della squadra Mobile, contestano a 4 persone legate alla 'ndrangheta l'omicidio volontario della 18enne, che fu la prima donna a essere rapita dall'Anonima sequestri al Nord Italia.

Gli indagati e le accuse

I pm di Milano contestano ai quattro indagati l'omicidio di Cristina Mazzotti nel presupposto che "segregandola in una buca senza sufficiente aereazione e possibilità di deambulazione, somministrandole massicce dosi di tranquillanti e eccitanti", ne abbiano "così cagionato la morte" nelle stesse ore in cui il padre pagava il riscatto tra il 31 luglio e l'1 agosto 1975. Si tratta di Demetrio Latella, Giuseppe Calabrò, Antonio Romeo e Antonio Talia. Si sono avvalsi della facoltà di non rispondere.

Il sequestro e il riscatto

Cristina Mazzotti fu rapita la sera del'1 luglio 1975 fuori dalla sua villa di Eupilio (Como). Al padre della ragazza, Helios, un ricco industriale milanese che faceva affari nel settore dei cereali, furono chiesti 5 miliardi di lire di riscatto. A metà luglio i banditi decisero di abbassare la loro richiesta: un miliardo di lire. Questa volta il padre della 18enne riuscì a raccogliere la cifra e dopo un paio di settimane, in gran segreto, consegnò la cifra in un appartamento di Appiano Gentile, ottenendo in cambio garanzie per il rilascio della figlia.

Passarono due mesi di angoscia, ma Cristina non tornò mai a casa.  L’epilogo il 1° settembre del 1975, quando una telefonata anonima indicò ai carabinieri di scavare in una discarica di Galliate (Novara), e lì fu ritrovato il cadavere. Era stata sepolta in un fazzoletto di terra, sotto una carrozzina e una bambola rotta, l’autopsia accertò che si trovava lì da almeno 40 giorni e nessuno riuscì a dire con certezza se era già morta o respirava ancora quando la gettarono lì. 

I processi

Un primo processo si concluse a Novara con 13 condanne di cui otto ergastoli a carico di fiancheggiatori ma non degli esecutori materiali del sequestro finito in omicidio. Nel 2007 un'impronta digitale, grazie alla nuova banca dati, fu attribuita Demetrio Latella. Il gip ne respinse per mancanza di esigenze cautelari l'arresto chiesto dalla Procura di Torino, ma Latella ammise di essere stato uno dei sequestratori e chiamò in causa altre due persone. Il fascicolo (passato a Milano per competenza territoriale) fu archiviato nel 2012: prescritti, per varie ragioni, il sequestro di persona e l'omicidio volontario aggravato. Nel frattempo, però, una sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione nel 2015 aveva indicato imprescrittibile il reato di omicidio volontario. Un esposto è stato quindi riproposto da Fabio Repici, già avvocato della famiglia Mazzotti e poi parte civile per la famiglia del magistrato torinese Bruno Caccia ucciso nel 1983 in un delitto nel quale per Repici avrebbe avuto un ruolo Latella.