Sarah Tibs, quando la buona cucina fa bene all'umore

Intervista all' autrice del libro «Che cavolo mangio?», uscito per Tecniche Nuove e dedicato a una cucina leggera, consapevole, pensata nel rispetto delle indicazioni del Fondo Mondiale per la Ricerca sul Cancro

Sarah Tibs

Sarah Tibs

Como, 11 marzo 2016  - Mangiare per vivere, certo, ma anche per migliorare l’umore e per stare meglio. Aggiungere alla dieta di ogni giorni alimenti insoliti, eliminare ciò che è ormai notoriamente dannoso. Magari con qualche sforzo, all'inizio, ma con la certezza poter procedere anche a piccoli passi, senza stravolgere troppo le proprie abitudini e senza rinunciare alla bellezza di ciò che finisce nel piatto. Partendo da questi criteri, è arrivato in libreria un ricettario - che in realtà è anche molto di più – per stare in cucina divertendosi, senza impazzire e sperimentando nuovi sapori, portando in tavola piatti esteticamente accattivanti. Da questi spunti è infatti nato il libro di Sarah Tibs, comasca, autrice di «Che cavolo mangio?», uscito per Tecniche Nuove e dedicato a una cucina leggera, consapevole, pensata nel rispetto delle indicazioni del Fondo Mondiale per la Ricerca sul Cancro, dove i riferimenti scientifici di ogni ricetta, sono supervisionati da una biologa specialista in scienze dell’alimentazione. Da dove parte questo libro: ricette, salute o ingredienti? «Dalla salute. Ho studiato gli ingredienti che collaborano a generare quei meccanismi che ci fanno stare bene, o quelli che agiscono in modo contrario. Uniti ai metodi di cottura meno rischiosi, portano a una cucina sicura al cento per cento. Se non si hanno particolari problemi di salute che comportano regimi particolari, una scelta alimentare attenta può davvero fare la differenza». Da cosa occorre partire per cambiare le regole nutrizionali più rischiose? «Si può iniziare cercando di integrare cereali, legumi e vegetali freschi. Dalle ricette che propongo, ho tolto ogni fonte di zucchero e la farina di grano tenero molto raffinata. Con queste modifiche, si introducono nella dieta scelte diverse e positive». E’ difficile divulgare nuovi concetti alimentari? «Rompere le abitudini non è mai facile, almeno all’inizio, per motivi legati al gusto e ai sapori. E’ normale che gli alimenti poco conditi non piacciano, ci si deve abituare un po’ alla volta a comprendere i sapori reali degli alimenti. Sono contraria ai cambiamenti drastici, occorrono modifiche graduali, cercando man mano quello che è più adatto a ognuno di noi, e ponendo meno limiti possibili. Per questo motivo, il libro può essere anche una lettura prima ancora che un ricettario, cercando quello che attira di più o che è più vicino ai propri gusti». Ingredienti come acidualto di umeboshi, miso di riso, batata o kuzu sono poco usuali: non rischiano di rendere difficile la realizzazione delle ricette? «Sono lontani dalla cucina mediterranea e più presenti in quella orientale, ma hanno proprietà specifiche importanti, alle quali era un peccato rinunciare. Ormai si trovano in tutti i negozi bio, senza difficoltà. Li ho inseriti nelle ricette perché non hanno vere alternative: l’umeboshi può essere sostituito con aceto e sale, ma ha proprietà maggiori». Come si fa a trovare nuove ricette, in un momento in cui tutto sembra essere già stato pensato? «Mentre stavo scrivendo il libro, ho smesso di frequentare internet, perché non volevo suggestioni. Non credo di aver fatto cose assolutamente nuove, ma ho cercato di essere il più possibile creativa, vedendo le cose con occhio diverso. L'obiettivo era raggiungere anche chi non ha una particolare passione per la cucina. Alcune ricette a volte sono quasi banali, ma hanno un senso preciso per la salute. Altre sono più complesse, ma comunque realizzabili. Chi legge, può adattare i contenuti alle sue esigenze e abitudini. In questo modo, chi fa questa scelta alimentare si può muovere in autonomia, e pensare a ulteriori varianti». Quali sono le tre regole di un buon ricettario? «Una immagine per ogni ricetta, perché vedere cosa si sta preparando è importante per poter essere autonomi e creativi. Questo è il punto di riferimento iniziale, a cui non ho voluto mancare nemmeno nel mio libro. Inoltre sono importanti la semplicità della realizzazione, e la reperibilità degli ingredienti, così come degli strumenti e accessori, per realizzare le ricette: devono essere caratteristiche a portata di tutti. Infine l'onestà. Quello che ti viene proposto pagina dopo pagina, è stato realizzato seguendo esattamente quella ricetta, e poi mangiato, testandone il risultato». Un colore nel piatto? «Verde. E' il colore che più subisco, ma cerco sempre di inserire diversi colori e consistenze. Una grande difficoltà è creare ricette che siano gradevoli alla vista, perché chi mangia a prevalenza vegetale, solitamente fa piatti non estetici. Qui ho cercato di renderli belli, anche mantenendoli a un livello di realizzabilità casalingo».