Como, disastro cinghiali: Coldiretti invoca il Pirellone

Ci sono aziende che hanno avuto la metà delle proprie colture devastate dagli ungulati

Troppi cinghiali si aggirano nel Lario

Troppi cinghiali si aggirano nel Lario

Como, 16 maggio 2018 - I cinghiali non si sono fermati nemmeno in inverno: hanno continuato a distruggere i cereali autunno vernini e devastato i campi a fieno, con danni che in alcuni casi, nelle due province lariane, hanno devastato metà della superficie coltivata delle aziende. “Una situazione insostenibile, in ampie aree l’agricoltura rischia di scomparire perché le imprese non sono più messe nelle condizioni di poter lavorare” ribadisce Coldiretti Como Lecco che si schiera a fianco dei produttori, mai così preoccupati alla vigilia di un periodo di semine che si annuncia ancora una volta da bollettino di guerra. La stagione di semina segna infatti, su questo fronte, l’inizio della fase più delicata. “Già troppe volte i nostri produttori hanno dovuto riseminare più e più volte, vedendo vanificato il proprio lavoro e accumulando danno su danno. Sono esasperati, e ne hanno ben ragione, perché negli ultimi anni la nostra agricoltura ha pagato un conto da centinaia di migliaia di eurp” rileva il presidente della Coldiretti lariana, Fortunato Trezzi.

“Anche i numeri, già di per sé molto alti, sono fuorvianti, dato che molto spesso i danni si ripetono a distanza ravvicinata. Ciò è spesso incompatibile con le esigenze delle imprese agricole, costrette a riseminare prima dell’intervento del perito. E, quando le distruzioni dei cinghiali sono ripetute, alla fine il danno riscontrato è uno solo. E così molti decidono di non denunciare nemmeno le perdite subite”. In realtà, le invasioni non si sono arrestate nemmeno nel periodo invernale, con la devastazione di prati stabili, colture di frumento e cereali autunno/vernini: in più, oltre ai danni alle imprese agricole, l’invasiva presenza dei cinghiali ha comportato notevoli rischi anche alla viabilità stradale. Per gli imprenditori agricoli si tratta di un autentico incubo, che comporta perdite notevoli sotto il profilo economico e un aggravio di incombenze burocratiche, che partono dalla denuncia dei danni, all’uscita degli incaricati per l’ispezione, all’erogazione effettiva della somma. Va sottolineato che il ristorno dei danni è legato al criterio definito in delibera, con una franchigia di 100 euro e, in ogni caso, subordinato alla stima del perito.

Il territorio interessato è amplissimo: si va da Porlezza alla val d’Intelvi, alle alture di confine con il Varesotto, alla Brianza, al Lecchese dove branchi di ungulati stanno salendo in questo periodo anche a quote più alte. E i cinghiali non sono solo l’unica specie ad arrecare danni all’agricoltura: ad essi si aggiungono, infatti, i danni causati da cervidi, leporidi (che colpiscono una gran parte di colture, tra cui la soia e le ortive) e, non ultimi, i piccioni, anch’essi in grado di causare danni da migliaia di euro a fronte di una sola ‘incursione’.  La forbice dei danni provocata dai selvatici può intercorrere da alcune centinaia di euro a cifre molto importanti, in alcuni casi di diverse migliaia di euro: si tratta di un problema comune a tutto il settentrione lombardo, e che interessa una gamma amplissima di colture: si va dal vivaio al frutteto, alle ortive a pieno campo, ai prati, agli impianti di piccoli frutti, alla vite, alle leguminose, al mais da granella e insilato, alle oleoproteaginose. Si sono addirittura registrate, da parte dei cinghiali, distruzioni di alveari. 

“E’ altresì necessario dar seguito agli abbattimenti in deroga, oltreché da parte delle guardie venatorie, anche ripristinando l’intervento autorizzato degli agricoltori in possesso dei requisiti, così come previsto dall’articolo 41, peraltro inspiegabilmente sospeso. Il problema è fuori controllo, in alcuni areali il 2017 ha visto crollare la raccolta di fieno del 60% per colpa dei cinghiali, mentre per alcune imprese tale percentuale è salita drammaticamente, fino al 90%. E a questo dobbiamo aggiungere il ‘colpo di grazia’ dato alle colture ortofrutticole e cerealicole, in primis il mais”.

Tutto questo, conclude Trezzi “non è più tollerabile, gli imprenditori agricoli sono esasperati ed è necessario che venga predisposta una strategia di azione più risolutiva: a ciò si aggiunge il rischio che numerose imprese agricole non riescano più a far fronte al problema e siano costrette a chiudere: ciò potrebbe causare l’abbandono di interi territori e mettere a rischio quella stabilità idrogeologica che, soprattutto nelle aree montane che circondano il lago di Como, il Ceresio o portano alla vicina Svizzera, è di fatto garantita dalla presenza delle imprese agricole. Auspichiamo il buon esito del tavolo sulla gestione del cinghiale attivato in Regione Lombardia dal neo assessore Fabio Rolfi, che ha anche richiesto una modifica delle norme sul contenimento dei selvatici a livello nazionale. Un passo importante e positivo. Ma è necessario agire con decisione, e ciò è un’urgenza improcrastinabile: non è più solo una questione di risarcimenti. In gioco c’è la sicurezza delle persone, nelle aree rurali e nei centri abitati oltre che sulle strade perché, sempre più spesso, animali come i cinghiali provocano incidenti molto gravi, e il territorio lariano è purtroppo “maglia nera” riguardo a tali sinistri”.