Como, chiuso il Centro di accoglienza: in due anni qui migliaia di migranti

A darne la conferma, da Roma, il ministro dell’Interno, Matteo Salvini. La Lega esulta, ma si alzano voci contrarie

Como, centro accoglienza

Como, centro accoglienza

Como, 1 novembre 2018 - Il centro di accoglienza di via Regina Teodolinda è stato chiuso. A darne la conferma, da Roma, il ministro dell’Interno, Matteo Salvini, che ha preso spunto dalla chiusura della struttura comasca per spiegare che il Governo «sta passando dalle parole ai fatti».

Aperto nel novembre del 2016 per accogliere i profughi, somali ed eritrei, che in estate si erano accampati di fronte alla stazione San Giovanni, il centro in questi due anni ha accolto migliaia di migranti la maggior parte dei quali si sono spinti a Como nel tentativo di passare, in qualche modo, il confine con la Svizzera. Il record di presenze, 371 ospiti, è stato registrato nel novembre del 2016, il luglio dell’anno successivo le presenze erano già scese a 310 e nei giorni scorsi e un paio di giorni fa, quando la struttura è stata di fatto chiusa, non c’erano più di una decina di migranti. Conseguenza della decisione del Viminale che a settembre aveva dato indicazione alla prefettura di Como di spostare i profughi altrove.

«Abbiamo dimostrato di saper mantenere la parola - sottolinea il sottosegretario all’Interno, Nicola Molteni -. La chiusura del Centro di accoglienza di Como è una vittoria del governo e della Lega, vittoria resa possibile anche dalla drastica diminuzione degli sbarchi: meno 90 mila arrivi rispetto all’anno scorso. E si sono ridotte le riammissioni dalla Svizzera. La nostra attenzione per Como non finisce qui, visto che abbiamo appena confermato l’arrivo di 10 nuovi poliziotti. Siamo coerenti e orgogliosi del lavoro fatto in soli cinque mesi di governo». Non sono mancate le reazioni contrarie dalla politica e dalle associazioni di volontariato che, nei giorni scorsi, avevano chiesto al sindaco Mario Landriscina di farsi garante con il Governo per mantenere il campo aperto. «La struttura in questi due anni ha svolto una funzione preziosissima – riflette Bruno Magatti di Civitas -. Credere di poterne fare a meno è solo un segnale di grande debolezza e di insipienza politica».