Crac casinò, il commissario Zanzi: "Così è finito il modello Campione"

Incontro con chi è stato chiamato a guidare il Comune in dissesto

Giorgio Zanzi da fine settembre commissario a Campione d’Italia

Giorgio Zanzi da fine settembre commissario a Campione d’Italia

Como, 28 dicembre 2018 - Dopo questi primi tre mesi trascorsi a passare al setaccio i conti del Comune si può dire che una parte dei guai di Campione derivi dal fatto che per anni hanno vissuto al di sopra delle proprie possibilità? Non è uno che si imbarazza facilmente Giorgio Zanzi, da fine settembre commissario a Campione d’Italia con il mandato di mettere un po’ di ordine nei conti del Comune costretto a dichiarare il pre dissesto fin da giugno. «Questo lo sta dicendo lei – risponde mentre dalla piazza sale l’eco delle voci di sindacalisti e lavoratori del casinò, riuniti in assemblea in piazza Maestri Campionesi – Di sicuro il modello Campione si è costituito ed è stato funzionale in anni in cui il Casinò aveva ben pochi concorrenti, per quel che concerne il gioco d’azzardo, e il cambio tra euro e franco svizzero era molto più favorevole. Poi questi presupposti sono cambiati ma il Comune, che è proprietario della casa da gioco e nel frattempo era diventato anche socio unico, non ha saputo tenerne conto fino in fondo anche perché doveva far fronte alle proprie di spese». Il risultato è un debito di oltre 44 milioni di euro, ai quali vanno aggiunti gli interessi maturati nel corso del 2018, che difficilmente qualcuno riuscirà mai a restituire alle casse comunali.

«Aspettiamo la nomina del commissario straordinario. C’è una procedura di fallimento aperta e noi siamo tra i principali creditori». Intanto lo Stato ha promesso 5 milioni di euro, almeno stando ai numeri inseriti in Finanziaria. «Per ora non ho ancora visto niente – prosegue Zanzi – speriamo arrivino presto». Il commissario a dir la verità di milioni qualche settimana fa ne aveva chiesti sette, indispensabili per far fronte alle continue richieste dei fornitori che qui sono le aziende che si occupano di servizi primari come la rimozione dei rifiuti.

«Dipendiamo a tutti gli effetti dalla Svizzera, ma contrariamente a quel che dicono possono garantire che in questo periodo i servizi primari non sono venuti meno. Merito anche del fatto che finora la mobilità non si è ancora concretizzata e quindi il Comune sta lavorando a pieno organico, anche se va ricordato che i lavoratori dal febbraio scorso non percepiscono lo stipendio. È vero che alcuni tagli sono stati fatti, ma la coperta purtroppo è molto corta e dei servizi che erano garantiti in passato oggi non possono più esserlo». Ad esempio la scuola materna e il servizio diurno per gli anziani e il Comune che integrava il 90% della retta degli alunni nelle scuole del Canton Ticino. «Mandare un figlio a scuola in Svizzera costa anche 15mila franchi l’anno, le famiglie che vogliono investire nell’istruzione dei loro figli sono libere di farlo, per tutti gli altri c’è la scuola pubblica italiana che tra l’altro assicura una formazione più che adeguata. Il Comune al massimo può impegnarsi per garantire collegamenti a prezzi agevolati. Del resto a Porlezza hanno lo stesso problema, ma il Comune non si sogna di pagare le rette dei college di Lugano ai ragazzi del paese».