Como, cannabis light: ecco il distributore automatico

Basta avere 18 anni. L’ira della Lega in Comune, ma il gestore: "Tutto in regola"

Distributore automatico di cannabis light

Distributore automatico di cannabis light

Como, 14 maggio 2019 - Un tempo, per comprare prodotti a base di canapa light occorreva andare in Svizzera, entrare in un negozio e consumare tutto sul posto per evitare di incappare nei controlli alla dogana e finire segnalati come utilizzatori abituali o, peggio, come spacciatori in Questura. Adesso, mentre i vicini elvetici hanno fatto una vistosa retromarcia, di qua del confine è diventato tutto molto più semplice. E a Como, in pieno centro, è stato inaugurato in questi giorni il primo self-service di canapa light, aperto in via Fontana, a due passi dal salotto di piazza Cavour. Accade proprio nella città dove l’amministrazione di centrodestra ha fatto della battaglia per la sicurezza e il controllo del centro storico la priorità, anche con sanzioni e daspo urbani. E la novità non ha fatto piacere alla giunta, che sugli shop di canapa “leggera” ricalca la posizione del ministro dell’Interno Matteo Salvini, orientato a «far chiudere tutti questi negozi». «Dobbiamo tutelare i giovani e le persone più fragili, ma anche tutti quelli che potrebbero intraprendere la strada della dipendenza proprio avvicinandosi facilmente all’uso di queste sostanze – spiega la vicesindaco Alessandra Locatelli, che è anche parlamentare della Lega –. Questi luoghi sono il frutto di politiche di tolleranza e liberalizzazione che non ci appartengono e che non portano a nulla di buono, mettono solo a rischio la salute di tutti».

Ma la polemica non ha arrestato le attività. Il punto vendita funziona come un qualsiasi distributore di sigarette, basta utilizzare la tessera sanitaria che consente di verificare l’età della persona, perché per comprare è obbligatorio essere maggiorenni, e il gioco è fatto. Bancomat, carta di credito e contanti: si digita il numero del prodotto esposto e la macchina lo consegna. In teoria, nessuno spende per fumare. La legge infatti prevede che la cannabis light possa essere prodotta e commercializzata per «ricerca e collezionismo», ma non a «uso ricreativo». Così, ecco essenze per l’ambiente, foglie decorative. Ma di cavillo in cavillo, si scopre che non esiste neppure una legge che impedisca di fumare un profumatore per armadio. Per capirlo, basta rileggersi la sentenza della Corte di Cassazione, depositata il 31 gennaio scorso, in cui si spiega che «non è possibile escludere l’utilizzo dei prodotti per usi non descritti nel testo di legge, di conseguenza non esplicitamente vietati». In pratica la canapa venduta per scopo alimentare e cosmetico si può anche fumare. «L’importante è che il contenuto di Thc - il principio attivo - non superi il limite dello 0,6%, come prevede la legge, nel caso dei nostri prodotti è ancora inferiore perché non va oltre lo 0,2% – spiega Marco Lenzetti di Enjoynt, startup nata per commercializzare prodotti a base di canapa, dalla cannabis all’olio di Cbd, il cui marchio è ben visibile sul distributore –. Anche se l’argomento canapa light suscita ancora contrarietà, i nostri prodotti sono accuratamente testati e sicuri».

Di certo, il prodotto illegale arriva a contenere anche il 15 per cento di sostanza psicoattiva. Una distanza che in Comune a Como non ritengono dirimente. Ma per il momento non c’è alcun provvedimento che limiti l’attività di questi negozi in Italia. Una situazione che rispecchia quella del vicino Canton Ticino, dal 1996 al 2003. Allora, con un’interpretazione permissiva della norma, come oggi in Italia fiorirono circa cento “canapai”. Negozi dove dietro rigorose etichette che spiegavano come servirsi dei “profumatori”, si vendeva canapa in bustina. Bastava sapere - come recitavano le scritte - che la legge vietava di usarne il contenuto come stupefacente. Anni di pendolarismo dello sballo “light” attraverso la frontiera cui un’operazione di polizia mise fine, portando rapidamente alla chiusura di un indotto stimato in mezzo milione di franchi. Quasi vent’anni dopo, è l’Italia a mettersi sulla strada già percorsa dalla Svizzera. E chissà che non cominci un nuovo pendolarismo. Questa volta all’incontrario.