Como, 29 giugno 2013 - Una terribile coincidenza, una maledizione da sfatare, o qualcos’altro? Cosa si cela attorno alle morti misteriose di ex calciatori del Como, cosa sta accadendo a quei beniamini della domenica che per anni hanno vissuto a due passi dallo stadio Sinigaglia, struttura familiare con vista lago? Sotto accusa quei fili d’erba bagnati dall’umidità di quel grande specchio d’acqua. Già, perché il manto verde del Sinigaglia da anni è entrato dentro il fascicolo d’inchiesta del pm Raffaele Guariniello che scava tra i morti e i malati di Sla e patologie letali.

I casi di sclerosi laterale amiotrofica nei 103 anni del Football Club Como sono diventati 6 (sui 5000 complessivi relativi a persone che quotidianamente si giocano la propria partita per la vita). Tragedie che rimandano proprio alla società lariana, che, dopo la scomparsa di Stefano Borgonovo, vanta un poco invidiabile primato: cinque morti di Sla. E se il nome più celebre è proprio quello dell’ex ragazzone di Giussano (86 presenze e 15 reti col Como), non si possono dimenticare altri idoli della tifoseria lariana deceduti prematuramente.

Adriano Lombardi lo chiamavano il “rosso” per via dei capelli: lasciò il calcio e la Lombardia nel 1982 dopo una discreta carriera da centrocampista (fu anche il capitano dell’Avellino). La malattia lo ha portato via il 30 novembre del 2007 dopo una lunga agonia e grandi sofferenze durate quattro anni. Lasciando a Mercogliano, nel cuore dell’Irpinia, la signora Luciana e le figlie Maria e Sara.

Stessa, tragica sorte era toccata qualche anno prima, nel 2000, al 38enne italo-brasiliano Albano Canazza, divorato dalla Sla in poco tempo. Anche lui aveva indossato la maglia del Como all’inizio degli anni ottanta ed era stato compagno di squadra di Lombardi. Di Sla morì anche Celestino Meroni, fratello del più celebre Gigi: entrambi cominciarono proprio con il club lombardo. Nel 2009 il terribile destino toccò a Maurizio Gabbana. Giocatore di origine piemontese, aveva indossato la maglia del Como per due stagioni a metà degli anni ’70. L’unico sopravvissuto è Piergiorgio Corno, che convive con la Sla ormai da 20 anni nella sua casa di Albiate, assistito dalla signora Mariagrazia.

Ma il destino e la malasorte si sono accaniti negli anni anche contro altri ragazzi del lago di Como: che dire del tumore di Guido quadri, della leucemia di Andrea Fortunato, della vasculopatia cardiaca di Giuseppe Longoni, che pure hanno conosciuto e calpestato il campo d’allenamento di Orsenigo e il prato di Sinigaglia?

Il mistero dell’erba di Como potrebbe risalire ai primi del ’900, ai tempi della bonifica della zona paludosa del torrente Cosia, quando i barconi carichi di rifiuti tossici provenienti dalle fonderie di Dongo attraccavano proprio là, all’orizzonte dello storico “buco“ del settore distinti sparito negli anni novanta in una ristrutturazione del Sinigaglia. Se fossero davvero i veleni del sottosuolo (cadmio, promio, piombo, manganese e nichel) o altri reperti radioattivi usati (antiparassitari usati come pesticidi), a causare l’impazzimento del motoneurone alla base della Sla si è cercato di accertarlo. Ma la verità sembra ancora lontana.

di Giulio Mola