Cassago Brianza, 28 novembre 2012 - Un summit per garantire la «equa spartizione dei lavori della Perego Strade, tra le ‘ndrine calabresi e le corrispondenti locali della Lombardia». Così, il 2 gennaio 2009, nell’abitazione di Giuseppe Pelle (appartenente alla ‘ndrina di San Luca, in Calabria), si riuniscono Pasquale Varca, capo della locale di Erba, Michele Oppedisano, 43 anni, affiliato della stessa locale, e il cugino Michele Oppedisano, 42 anni, «<in rappresentanza delle ‘ndrine della Piana», entrambi nipoti di Domenico Oppedisano, indicato come capo crimine calabrese.
 

Con la loro presenza, garantiscono la «protezione sui cantieri Perego da eventuali atti di intimidazione posti in essere da terzi». L’episodio, uno dei tanti indicati per ricostruire la ramificazione della ‘ndrangheta nell’economia comasca e lecchese, emerge dalle motivazioni del processo abbreviato di Infinito, ora in Appello e la cui sentenza di primo grado è stata letta un anno fa. In primavera è invece attesa la sentenza del dibattimento, dove il pubblico ministero Alessandra Dolci ha chiesto 14 anni e 6 mesi di reclusione per Ivano Perego.

Per Salvatore Strangio, 54 anni di Reggio Calabria (ex dipendente della Perego General Contractor, condannato a 12 anni in abbreviato) il gup Roberto Arnaldi parla di «accusa chiara». Rispondeva di associazione a delinquere con finalità mafiose, «in qualità di capo e organizzatore, per avere acquisito, per conto della ‘ndrangheta (in particolare delle ‘ndrine di Platì e Natile di Careri) la gestione, e comunque il controllo, delle attività economiche della Perego Strade srl, poi divenuta Perego General Contractor, una delle maggiori società operanti in Lombardia nel settore movimento terra».
 

Durante la riunione del 2 gennaio, Strangio intima a Varca e agli Oppedisano, di non intrattenere rapporti con la Perego, che sono di sua esclusiva competenza. Lo stesso Pelle, non obietta nulla. Secondo il giudice, passa anche da questo episodio la dimostrazione di come Strangio fosse il rappresentante al Nord degli interessi della sua ‘ndrina e quella dei Pelle. Strangio entra alla Perego nel 2008 come addetto alla sicurezza dei cantieri, ma soprattutto factotum di Andrea Pavone, direttore di stabilimento che dava lavoro a 130 dipendenti: è lui che lo presenta a Ivano Perego, chiedendo di aiutarlo in un momento di crisi, ma ben presto firma un contratto di assunzione.

L’ informativa del Ros del 31 ottobre 2009, dimostra come la Perego Group di Perego Ivano&C. detenesse il 51 per cento del capitale, mentre Salvatore Strangio e Andrea Pavone controllavano, attraverso la società fiduciaria Carini, il 39 per cento delle quote: «La più importante società del gruppo Perego – dice il gup - leader nel mercato dell’edilizia in Lombardia, era una società nella quale la mafia partecipava direttamente al capitale sociale con una minoranza qualificata, peraltro suscettibile di espansione».

di Paola Pioppi