Il welfare aziendale per dare una mano a chi già fa molto

Le aziende più innovative hanno già intrapreso questa strada, offrendo ai cittadini-lavoratori qualche certezza in più

DOMANDA:

CARO DIRETTORE, mettendo in ordine una serie infinita di ricevute e di documenti sanitari, mi sono resa conto che per sistemare i denti di mia figlia in 14 anni ho speso più di diecimila euro. Più di venti milioni di vecchie lire. Capisco di non poter lamentarmi, perché grazie al cielo un lavoro ce l’ho, come lo ha il padre di mia figlia. Però mi pare che certi cittadini siano meno cittadini degli altri. Più che al reddito di cittadinanza, penserei a dare una mano a chi fa già tutto il possibile. Maria F., Milano

RISPOSTA:

LEI RAPPRESENTA, con una testimonianza personale, la situazione in cui si trova chi fa parte del cosiddetto “ceto medio”. Persone sufficientemente autonome, dal punto di vista del reddito, da non ricevere aiuti da nessuno, ma non in una situazione così agiata da sconfinare nel lusso. Ogni imprevisto, ogni spesa in più, può diventare un problema. Cosa fare? Non sto a ricordare le detrazioni alle quali ha diritto chi sostiene spese sanitarie. Esiste invece una formula che consente di affiancare efficacemente le famiglie. È il welfare aziendale. Le aziende possono - per così dire - contribuire al pagamento dei costi per la salute o per l’istruzione. Sono però necessari precisi accordi. Le aziende più innovative hanno già intrapreso questa strada, offrendo ai cittadini-lavoratori qualche certezza in più. Non è poco, di questi tempi. sandro.neri@ilgiorno.net