SuperLeague...anzi no, SuperFlop

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Nelle convulse e contraddittorie giornate in cui palle, palloni e pallonate hanno “vivacizzato“ l’inizio della settimana (riuscendo persino a far passare in secondo piano la pandemia che ci tormenta e addolora da quindici mesi), torna di moda un saggio proverbio che i nonni, da sempre, amano ripetere ai nipotini smaniosi e distratti: "La gatta frettolosa fece i gattini ciechi". Ecco, non ce ne vogliano i felini se li accostiamo al dorato mondo del calcio, ma di fatto la SuperLega in pochissime ore è stata ridimensionata a SuperFlop. Niente male come prima stagione: breve ma intensa. Un progetto disintegratosi sotto le frustate delle istituzioni sportive e degli altri club considerati “plebaglia“ dal circolo d’elité delle dodici signorine avide e arroganti. Un’idea rivoluzionaria che ha toccato molte coscienze, quelle “pure“, scatenando la rumorosa rivolta dei tifosi di tutte le squadre, anche di quelle che si erano promesse alla novità griffata JP Morgan. Di fatto il sentimento popolare ad oggi è riuscito a prevalere (come prevedibile) sulla logica mercantilistica, perché si può accettare tutto (torneo “spezzatino“, quattro squadre in Champions League anche se il trofeo non lo vinci da una vita, bilanci in “rosso“, plusvalenze gonfiate, colori sgargianti che inceneriscono storiche maglie per volere degli sponsor, etc etc...) ma alla fine il gioco è di tutti. Dei potenti e di chi investe per passione.

Tutto e il contrario di tutto

Quel che stupisce è la velocità con cui è successo tutto e il contrario di tutto. Domenica sera dodici dei più importanti (ma non i più blasonati) club europei hanno annunciato la formazione di una nuova Lega, ma sono bastate appena 48 ore di intense critiche e opposizione politica per le prime clamorose inversioni ad U. I sei club inglesi si sono ritirati dal progetto, prendendosi anche gli applausi dell’Uefa, mentre sull’Aventino sono rimasti soltanto Florentino Perez e soprattutto Andrea Agnelli. Il quale, solo dopo aver visto di non avere più scampo (si è ritrovato gli striscioni degli ultras davanti ai cancelli dello Stadium) e che rischiava di rimanere intrappolato in pericolosissime sabbie mobili (quelle dell’orgoglio), è riuscito pure lui a rimangiarsi quanto detto poche ore prima se è vero che il giorno 21 aprile, all’ora del caffè, ha gettato la spugna: "Resto convinto della bellezza del progetto, ma lo ammetto, non penso che sia ancora attuale", le parole (comunque tardive) del presidente della Juventus in un’intervista rilasciata all’agenzia Reuters. Di più. Interrogato sulla possibilità che il progetto SuperLega si realizzi ancora, ha aggiunto: "Per essere franchi e onesti no, ovviamente non è così".

I "traditori" del calcio

E qui torniamo al proverbio dei nonni: che fretta c’era di far esplodere il “bubbone“ in un momento come questo, nel pieno della stagione, con la corsa Champions League che, almeno in Italia, è incerta come raramente accaduto, in un periodo in cui milioni di persone sono alle prese con una tragedia epocale e il possibile “default“ del calcio non è solo causato dall’emergenza Covid? Il clamoroso errore di comunicazione dei club di SuperLega si è dimostrato devastante. Perché ora passano per “traditori“ del calcio. Ma davvero ci voleva la SuperLega per mettere una toppa alle falle del sistema (dei potenti e dei ricchi), dopo fallimentari gestione societarie, spese folli (per i cartellini dei calciatori), stipendi improponibili (anche per giocatori mediocri o fratelli di giovani talenti), commissioni vergognose ai procuratori? Siamo seri. E se questa tempesta, invece, dopo aver rovesciato la “super“ imbarcazione dei ricchi fosse in grado (ora, subito) di imporre una riflessione globale sul calcio? Più controllo sui bilanci, magari impedendo a molti il passo più lungo della gamba? Cominciamo a difendere i valori etici del calcio. Ma tutti. Anche la Uefa (che permette false sponsorizzazioni a Psg e City, giusto per fare un esempio), anche la Lega e la Figc, che ripetono “il calcio è dei tifosi“ salvo poi portare la finale di Supercoppa Italiana in Cina o Arabia Saudita per meri interessi economici. E poi, diciamocelo chiaro: se davvero la SuperLega avesse preso il sopravvento, non avremmo mai più assistito ai magnifici scudetti dei decenni passati di Cagliari, Lazio, Verona, Sampdoria, Napoli e Roma, o alle imprese europee di Sassuolo e Atalanta, alla favola del Leicester.

Gigantesca bolla di sapone

L’operazione SuperLega sembra essere stata improntata al puro dilettantismo, eppure avrebbe dovuto portare al superprofessionismo. E lo dimostra il fatto che è stata creata senza alcun contratto vincolante, tanto che i club inglesi hanno salutato tutto dopo 2 giorni senza problemi. E neppure il peggior dilettante poteva partorire un’iniziativa così penosa. La sensazione, alla fine di questa gigantesca bolla di sapone, è che da oggi in poi non sarà più facile convincere le masse a comprare il prodotto di una confraternita così mal vissuta. Il calcio è passione, l’unica vera assente in questa dolorosa vicenda. Non solo. C’è da avere “pietà“ per i tanti che avevano elogiato le mosse di Agnelli, Marotta e Gazidis e ora dovranno fare i funamboli e arrampicarsi sugli specchi per spiegarci che, in fondo, sono stati bravissimi anche se gli è andata male. A proposito: si sussurra che lo stesso Marotta fosse all’oscuro di tutto e che Agnelli avesse concordato direttamente con Zhang, presidente attivissimo sui social solo quando l’inter vince ma che si guarda bene dall’apparire quando ci sarebbe da spiegare e dirigenti, tecnico, squadra e tifosi il terribile momento economico che vive il club, parlando magari del futuro dello stesso. Restano i cocci da raccogliere (gravemente compromessa l’immagine di Andrea Agnelli a livello di rapporti coi massimi sistemi calcistici) perché nessuno ne esce bene (l’Uefa e la Fifa hanno vinto una battaglia che ha palesato i loro disastri), resta sul tavolo il problema (comunque realistico) della riforma dei campionati, sul campo e fuori. Certo, servono più big match e meno partite scontate, ma questo non deve danneggiare nessuno.  E viva lo sport dove i milioni sono importanti, ma non tutto. Ci siamo divertiti (ma anche no), è ora di tornare seri: rimettiamoci il camice, c’è la virologia che aspetta...