L'ultima tentazione

Un leader, Renzi, se ne andrà, un altro, Calenda, che forse lo diventerà, è arrivato

Milano, 7 marzo 2018 - Un leader, Renzi, se ne andrà, un altro, Calenda, che forse lo diventerà, è arrivato. Colpisce la simultaneità dei due annunci ma Calenda ha già fatto campagna elettorale per il Pd e per la Bonino. Poiché lo stimo gli sconsiglio di farsi cooptare dall’alto, piuttosto continui il suo viaggio dentro un Pd che deve rigenerarsi e rifondarsi. Intanto ricomincia l’eterno travaglio del Pd e questa volta può diventare un calvario. Le dimissioni – dice Renzi – saranno effettive quando l’Italia avrà un nuovo governo, dunque non a breve, in teoria fino a nuove elezioni. La dilazione ha sconvolto un Pd tramortito: chi teme ne approfitti per promuovere i suoi fedelissimi, chi vuole trattare coi 5 Stelle, chi spera di ricavare un vantaggio personale dalle disgrazie collettive. Quale vantaggio? Nessuno dei due vincitori del 4 marzo ha la maggioranza e per formarne una bisogna rivolgersi a chi, pur sconfitto, dispone dei voti necessari e sufficienti, il Pd appunto. Di Maio la sua serenata l’ha fatta. Non offre al Pd un’alleanza ma un ‘patto’ che suona così: noi governiamo, voi coi vostri voti convergete sui nostri valori, i nostri metodi, i nostri programmi e qualcosa per voi si troverà. Ora, questa sì, sarebbe la fine del Pd, l’umiliazione dopo la sconfitta. Il timore di Renzi è proprio questo, che senza di lui il Pd ceda alla tentazione di trattare con Di Maio o, chissà, domani con Salvini. Timore acuito dalla premonizione che anche il Quirinale, doverosamente sollecito che una maggioranza parlamentare si formi, finisca col premere sul Pd perché assuma un atteggiamento collaborativo. Oggi con Di Maio, domani, non si sa mai, con Salvini. In un frangente simile il Pd di Bersani cedette. Renzi abbaiando a Mattarella resta per evitare che il successore conceda il bis. Può aver ragione ma non giurerei che non ne approfitterà.