Autonomia? Se ne parli

Manca meno di un mese al referendum consultivo sull’autonomia ma i cittadini lombardi ne sanno ancora molto poco

Milano, 26 settembre 2017 - Manca meno di un mese al referendum consultivo sull’autonomia ma i cittadini lombardi ne sanno ancora molto poco. È noto che la votazione avverrà per la prima volta con un sistema elettronico, che consentirà di apprendere i risultati immediatamente dopo la chiusura dei seggi, ma i contenuti del quesito e gli effetti che una vittoria del “sì” produrrebbe sulla Lombardia rimangono avvolti in una cappa di silenzio. Eppure la giunta Maroni si è molto battuta per questa importante occasione di partecipazione popolare, raccogliendo appoggi e condivisioni negli altri gruppi politici, dal Pd ai Cinque Stelle. Il 22 ottobre molti sindaci ma anche moltissimi semplici iscritti e simpatizzanti dei partiti di centrosinistra e del Movimento pentastellato voteranno “sì” per riconoscere il diritto della Lombardia di ottenere margini di autonomia maggiori per la gestione delle proprie risorse e la valorizzazione delle specificità territoriali.

Ma il refereendum è dei cittadini, non degli addetti ai lavori. Per questo i media dovrebbero parlarne di più, con un linguaggio semplice e divulgativo, spiegando che dalla Lombardia, in caso di massiccio afflusso alle urne e di schiacchiante vittoria dei “sì”, potrebbe partire un nuovo slancio per creare un diverso equilibrio tra Stato centrale e autonomie territoriali. E gli effetti pratici sulla vita dei lombardi sarebbero notevoli. Ieri i promotori del voto, in particolare Gianni Fava, assessore regionale all’agricoltura e coordinatore dell’azione della giunta lombarda per il referendum, hanno lamentato una sorta di censura da parte della tv pubblica: «Occorre rompere questa cappa di piombo messa per silenziare il nostro referendum»; ha denunciato Fava durante un sitin organizzato davanti alla sede Rai di corso Sempione.

Sarebbe interesse di tutti i cittadini capire di più di questo referendum e ogni spiegazione del quesito dovrebbe rientrare nella comunicazione di pubblica utilità, anziché rimanere imprigionata negli angusti schemi di una vetusta par condicio. La Rai, in effetti, è in attesa che la Commissione parlamentare di vigilanza detti le regole sugli spot per il referendum, ma questo temporeggiamento danneggia il sacrosanto diritto dei cittadini ad una corretta informazione.

*Docente di Diritto dell’informazione alla Cattolica