Licenziati sui social

Ciò che scriviamo in Rete può avere effetti devastanti sulla nostra quotidianità e comportare conseguenze a volte irreparabili in campo lavorativo

Milano, 30 maggio 2019 - L'identità virtuale incide sempre di più su quella reale. Ciò che scriviamo in Rete può avere effetti devastanti sulla nostra quotidianità e comportare conseguenze a volte irreparabili in campo lavorativo. Per questo bisogna usare molta accortezza quando ci si autodipinge in un certo modo sui propri profili social. Rischiamo, infatti, di pagare a caro prezzo la nostra disinvoltura nel pubblicare online tutto di noi, dalle informazioni più intime alle opinioni personali o la nostra sfrontatezza nell’utilizzare i social sul luogo di lavoro.

Si sono moltiplicati nell’ultimo anno i licenziamenti per condotte scorrette sui social, commesse attraverso un uso eccessivo della Rete per fini personali durante gli orari di ufficio o mediante la pubblicazione di contenuti irriverenti o offensivi nei confronti dei datori di lavoro o di colleghi che hanno denunciato la lesione reputazionale. Mesi fa un sondaggio di YouGov – una società di ricerche di mercato – sui meccanismi di assunzione e sulle variabili che influenzano le decisioni dei recruiter evidenziava come un’impresa su cinque avesse scartato un candidato dopo aver visionato i suoi profili social. Pare siano le grandi aziende, più delle piccole, a controllare la vita virtuale delle persone che si presentano per un posto di lavoro. Il questionario era stato rivolto a 2.000 business manager e metteva in luce l’impatto, talvolta determinante, che il comportamento dei candidati sui social media aveva sulle aziende con posizioni aperte.

Tra le motivazioni che spingono a buttare un curriculum nel cestino, al primo posto (con il 75% delle preferenze) compare il linguaggio aggressivo utilizzato sul proprio profilo; seguono il riferimento all’uso di droghe (71%), gli errori di ortografia e grammatica (56%), le foto in stato di ebbrezza (47%). Secondo uno studio di CareerBuilder, quasi un’azienda su cinque ha licenziato un dipendente per un post inappropriato o un’immagine sconveniente caricata su un social network.  I social rappresentano ormai vere e proprie “piazze virtuali” alle quali anche il datore di lavoro ha accesso. Si può discutere di limiti leciti e diritto alla privacy, ma le impostazioni pubbliche dei profili permettono una diffusione potenzialmente illimitata dei loro contenuti. Inutile illudersi di poterne controllare la circolazione.