L'arbitro giocatore

Volenti o nolenti, Luigi Di Maio e Matteo Salvini dovranno fare i conti con il presidente della Repubblica

Milano, 21 maggio 2018  -Il premier del governo giallo-verde c’è o, almeno, ci sarebbe. Perché, volenti o nolenti, Luigi Di Maio e Matteo Salvini dovranno fare i conti con il presidente della Repubblica e solo alla fine del passaggio al Quirinale scopriremo se l’incarico, come pare, sarà conferito effettivamente al professore Giuseppe Conte. Il nome è di tutto rispetto e circolava da giorni.

Ma è e rimane un nome «terzo». Il che sarebbe andato bene per un esecutivo neutro, tecnico o istituzionale, non certo per un governo «politico» a tutto tondo, come è quello, nascituro, tra Lega e 5 Stelle. Non è detto che il capo dello Stato non faccia rilevare questa «stonatura». E poco vale che nella compagine ministeriale entreranno direttamente i due leader con incarichi di peso e di rilievo. Il premier è il premier e non a caso i governi si chiamano con il nome del primo ministro. Si dirà che la situazione è per molteplici versi inedita e straordinaria, con un insormontabile veto salviniano alla premiership di Di Maio: e questo spiega e avalla l’anomalia di un presidente del Consiglio esterno. Eppure, per due partiti-movimenti che hanno nel loro Dna addirittura la democrazia diretta (vedasi alla voce voto online su piattaforma Rousseau, ‘gazebarie’ e parlamentarie varie), è una contraddizione non dissimulabile la scelta (o, meglio, l’indicazione) di un professore «non eletto» alla guida del governo. Più che di un «capo» del governo, siamo (o saremmo) in presenza di un amministratore delegato o di un «esecutore» del contratto stipulato dai due azionisti di maggioranza.

È (o sarebbe) una formula fin qui non sperimentata di «coabitazione» o di «governance» (per continuare con la metafora aziendale), la cui tenuta e la cui efficacia dovranno essere verificate alla prova dei fatti. Saranno le settimane e i mesi che verranno a dimostrare quanto inciderà sull’azione e sull’immagine del nuovo esecutivo quella che può (o potrà) essere considerata (se non un vizio di origine) di certo una variante rispetto agli assetti di governo delle democrazie occidentali nelle quali il primo ministro è tradizionalmente il leader della forza politica principale o comunque un esponente di punta di uno dei partiti di maggioranza. Ma l’Italia – sic – fa scuola e dopo i «governi tecnici» dei due ultimi decenni ci avviamo verso le terre incognite di uno schema a du