Il tempo del rancore

La tragedia di Bergamo, la poca considerazione della nostra vita e di quella degli altri

La Vespa tamponata dall'auto

La Vespa tamponata dall'auto

Milano, 5 agosto 2019 - Togliamoci la maschera, guardiamoci allo specchio, anche per un minuto, abbassando lo smartphone e ritrattando l’alibi delle difficoltà della vita, della crisi, del lavoro, del mondo cinico e baro. Controlliamo pure di sfuggita quello che siamo diventati. Osserviamo attentamente il nostro volto e cerchiamo di capire cosa non va; da dove nasca l’ira funesta nella quale siamo immersi, come in un gas narcotico, che respiriamo senza saperlo. Un rancore sordo, che ci fa percepire gli altri come un intralcio, il loro comportamento, le loro offese come un’onta da lavare nel sangue, da vendicare come in un videogioco, come in un duello rusticano. Senza pensarci troppo. Qualche anno fa fece discutere la definizione data da un sociologo della comunità italiana come ‘mucillagine’, una specie di fluido senza strutture, senza forma. Oggi forse siamo passati oltre, a uno stato ancora più incoerente: sabbia, ghiaia, granelli del tutto slegati l’uno dall’altro.

Una massa inerte. La violenza repressa che ci portiamo dietro ci arma, ogni contrarietà rischia di farci esplodere. In questi anni abbiamo raccontato di tutto: tranquilli pensionati col cappello capaci di trafiggere il rivale a colpi di cacciavite per un parcheggio; vicini impallinati dalla finestra per uno sberleffo, uno schiamazzo di troppo, giovanissimi decisi a reagire a sprangate se rimproverati per un gesto maleducato. Oggi, la lite in discoteca che si trasforma in uno speronamento in auto e che finisce con una vita spezzata e un’altra attaccata a un filo. Passiamo l’esistenza a cercare di conquistare un pezzo in più di benessere, una solida rispettabilità fatta di villette a schiera, frigoriferi e armadi pieni, auto lustre nei garage, giardinetti con il prato all’inglese e tanto buon senso da esibire. Ma valutiamo talmente poco la nostra esistenza da considerare pressoché nulla anche quella degli altri.

Privi di senso dell’umorismo, non volendo sentirci ridicoli, diventiamo insofferenti, intolleranti, incapaci di empatia e infine violenti. E nel volto riflesso dallo specchio non ci riconosciamo nemmeno più