Gioco d'azzardo

Il Decreto Dignità è diventato legge, tra le fragorose e unanimi proteste mosse da industriali, artigiani, commercianti, professionisti di varie categorie e persino dai sindacati

Milano, 12 agosto 2018 - Il Decreto Dignità è diventato legge, tra le fragorose e unanimi proteste mosse da industriali, artigiani, commercianti, professionisti di varie categorie e persino dai sindacati. Il provvedimento voluto dal ministro del Lavoro, Luigi Di Maio, ha scatenato trasversalmente tutto il mondo produttivo, in particolare quelle realtà del Nord che trainano la cagionevole economia del Paese e che nel pacchetto varato dal Consiglio dei Ministri e poi confermato dal Parlamento vedono minati i pilastri della ripresa e dell’occupazione. È in atto un pericoloso cortocircuito sociale. Con la reintroduzione della causale e la limitazione temporale dei contratti a termine, voluti dal governo con la convinzione, più ideologica che pratica, di sferrare un colpo al precariato spingendo le imprese ad assunzioni a tempo indeterminato, si sta creando l’effetto opposto. Tanti contratti non verranno rinnovati per evitare le temute cause legali, aumentando quel precariato che si voleva sconfiggere e favorendo di fatto, specie al Meridione, i lavori sommersi. Una piaga che assumerà ancor più evidenti connotati con l’atteso reddito di cittadinanza, i cui nebulosi contorni fanno sognare tanti e inducono all’incubo altrettanti.

L’attesa della “flat tax” ha lo stesso effetto ad altre latitudini. In questo quadro si inseriscono nodi del calibro dell’alta velocità ferroviaria, del gasdotto pugliese, dell’Ilva e dell’Alitalia. In un Paese con l’86,5% del trasporto merci ancora su gomma - contro una media europea del 76,4% - ragioni economiche e ambientali imporrebbero investimenti in infrastrutture ferroviarie. La Tav non solo è già finanziata dall’Europa che, in caso di stop ci richiederebbe indietro i soldi, ma è in avanzata fase realizzativa. Fermarla sarebbe ragionevole e utile agli interessi generali del Paese? Stesso discorso per il Tap, caso che finisce per cozzare con quello dell’Ilva, se non altro per un fatto di coerenza. Riconvertire industrie e abitazioni al metano comporta scelte strategiche e investimenti in infrastrutture capaci di garantire approvvigionamenti sicuri e convenienti. Qual è l’interesse prioritario e generale della nazione?

In ultimo, Alitalia. Conclusa la battaglia contro l’aereo di Stato voluto da Matteo Renzi, inutile e fonte di sprechi censurabili, ci apprestiamo a statalizzare una flotta intera, ripristinando una compagnia di bandiera ampiamente decotta, fuori dal mercato e ancora fonte di sprechi. Con gli stessi investimenti garantiti all’Alitalia nei decenni scorsi e che si vorrebbero garantire anche prossimamente, si sarebbero potute sostenere migliaia di piccole imprese e relativi dipendenti, senza puntare su un unico enorme rischio  industriale con la stessa disinvoltura con la quale si punta una fiche al Casinò. L’impressione è che si stia giocando d’azzardo in vista della fine del quantitative easing, l’acquisto dei nostri titoli di Stato da parte della Banca Centrale Europea, vero scoglio che ci attende per fine anno e che determinerà la posizione dell’Italia nel contesto mondiale. Accanto ai grandi del G8 o più vicini ad Argentina e Grecia? Gran parte delle scelte che spettano all’esecutivo saranno influenzate dalle strategie elettorali dei due alleati di governo. Peraltro già ad ottobre i test delle urne in Abruzzo, Basilicata e Trentino Alto Adige costringeranno Lega e Cinque Stelle a presentarsi divisi e a perorare i rispettivi cavalli di battaglia, spesso in contrasto tra di loro.