Baby-teppisti: se anche i reati sono un gioco

Molti giovanissimi non percepiscono nemmeno la gravità di quel che fanno

DOMANDA:

CARO DIRETTORE, la banda di ragazzini che imperversa a Como sta seminando il panico tra la gente. Stupisce leggere che alcuni di questi giovanissimi non hanno ancora tredici anni. Lo so, sono vecchio. Ma ai miei tempi era già molto se, di nascosto dai genitori, si riusciva a non andare all’oratorio all’ora fissata, o a tornare a casa con quelche minuto di ritardo. Chi sgarrava era punito. Sei arrivato tardi? Allora per una settimana non esci. Non hai studiato? Il cinema te lo scordi. Oggi invece pare tutto lecito. Agostino C., Milano

RISPOSTA: 

ANCHE I DATI RACCONTANO che i reati commessi da giovanissimi sono in aumento. Quel che mi preoccupa ancora di più è che spesso, ci dicono gli esperti, molti non percepiscono nemmeno la gravità di quel che fanno. «Stavamo giocando», dicono quando li prendono con le mani nel sacco. Giocare anche quando si ruba, si minaccia, si rapina. Perfino quando si violenta. Lei, giustamente, ha ricordato il ruolo educativo dei suoi genitori. E anche io penso che siano proprio i genitori il punto di riferimento imprescindibile. Forse devono essere più attenti, presenti, severi. Mi rendo anche conto, tuttavia, che i tempi oggi sono diversi, e che la figura educativa del genitore è sempre più messa in discussione. Molto più difficile crescere un figlio ai tempi nostri che non quanrant’anni fa. Non per questo però bisogna arrendersi alle prepotenze e alle angherie dei piccoli criminali. sandro.neri@ilgiorno.net