Sparito nella sua fonderia: "Poco tempo per uccidere"

Caso Bozzoli, la difesa all’udienza preliminare contro il nipote-imputato: sei testimonianze per ribaltare i nuovi elementi portati dall’accusa

Uno dei sopralluoghi dei Ris all’interno della fonderia di famiglia

Uno dei sopralluoghi dei Ris all’interno della fonderia di famiglia

Marcheno (Brescia), 17 novembre 2020 - Per l’accusa non c’è un cadavere ma ci sono un movente, numerosi indizi convergenti e nessuna ipotesi alternativa plausibile. Per la difesa al contrario non c’è una prova, nemmeno che Mario Bozzoli sia morto. Il mistero dell’imprenditore scomparso l’8 ottobre 2015 dalla sua fonderia di Marcheno ieri ha tenuto ancora banco al Palagiustizia di Brescia, dove davanti al gup Alberto Pavan è in corso l’udienza preliminare. Unico imputato, il nipote Giacomo, che risponde dell’omicidio e della distruzione di cadavere dello zio. Il procuratore aggiunto Silvio Bonfigli ha chiesto il processo, così come le parti civili – la moglie Irene Zubani e i figli Giuseppe e Claudio Bozzoli – mentre i difensori, Luigi e Giovanni Frattini, si sono spesi per il proscioglimento. Un faccia a faccia serrato tra le parti di quasi quattro ore, Giacomo assente, curiosamente sostituito in aula dal padre Adelio, co-titolare della fonderia, inizialmente tra gli indagati. Lo scontro è in particolare sulla ricostruzione degli orari e dei movimenti di zio e nipote in fonderia tra le 19 e le 19,30. Finito il turno, l’imprenditore attraversa il reparto rottami e mentre si dirige negli spogliatoi alle 19,12 chiama la moglie: ‘Mi cambio e arrivo’. L’operaio senegalese ‘Abu’ Aboagje Akwasi, ritrattando le dichiarazioni originarie, dice di averlo visto passare proprio a quell’ora. Bozzoli però non si cambierà mai, i suoi abiti sono rimasti là dove li aveva appesi al mattino. Sparisce. Per la Procura negli spogliatoi c’era Giacomo ad aspettarlo. Proprio la telecamera che dà sull’ingresso, controllata da remoto solo da lui e dal fratello, è stata spostata. E il nipote è l’unico presente in fabbrica non tracciabile nella mezz’ora cruciale.

Nessuno l’ha visto . Il suo telefonino inoltre – a dirlo, anche una app, iHealth – per 20 minuti non ha campo e non registra attività, in genere frenetiche. E nello spogliatoio non c’è campo. Giacomo riappare alle 19,24 quando viene visto da un autista. Poi telefona alla moglie. Poi alle 19,27 lascia la fonderia con la sua Porsche Cayenne, vi rientra alle 19.43 e se va definitivamente alle 19,55. Con il cadavere. Solo lui, sostiene l’accusa, aveva un motivo per uccidere lo zio – anche la ex disse di essere stata coinvolta in un piano omicidiario –, vita priva di ombre, con cui c’era forte contrasto ed era stato estromesso dal progetto della nuova fabbrica di Bedizzole. Al contrario per la difesa, che ieri ha depositato sei verbali di assunzioni testimoniali (tra cui quelli della moglie dell’imputato, della datrice di lavoro della ex, di un’impiegata della fonderia e dell’amministratore della società di pulizie della fabbrica), non c’è una sola prova, né una traccia. Gli orari indicati sono incompatibili e troppo risicati per un delitto. La Procura tra le 19 e le 19,24 colloca Giacomo nei paraggi dello spogliatoio con lo zio, ma l’imprenditore in quel frangente, sostiene la difesa, era da un’altra parte, ai comandi di un muletto. Quell’uomo sul muletto indicato dai Frattini era un’altra persona, la replica dell’accusa. E ancora: come avrebbe fatto Giacomo a compiere un omicidio senza lasciare tracce sulla Porsche? E pure lo spogliatoio era in ordine. Il 10 dicembre la decisione.