Ferlinghetti: "Io, artista ribelle vivo negli Usa ma il mio cuore resta a Brescia"

Nel Museo di Santa Giulia “A life: Lawrence Ferlinghetti"

Mostra dedicata a Ferlinghetti

Mostra dedicata a Ferlinghetti

Brescia, 8 ottobre 2017 - Opere, inediti, appunti, dipinti, fotografie e musiche per raccontare un movimento, ma soprattutto un uomo. Ha preso il via ieri, nel Museo di Santa Giulia, “A life: Lawrence Ferlinghetti”, il poeta della Beat Generation, movimento giovanile che sconvolse e rivoluzionò l’America puritana degli ’50. La mostra, aperta fino al 14 gennaio, è promossa dal Comune di Brescia con Fondazione Brescia Musei ed è curata da Luigi Di Corato, Giada Diano e Melania Gazzotti. Suddivisa in 4 macro-sezioni, l’esposizione è un omaggio a Ferlinghetti, nato a New York da un emigrante di origini bresciane: ne racconta i viaggi, la capacità di meravigliarsi davanti alla bellezza e di ribellarsi al potere. Ferlinghetti, 98 anni, oggi vive a San Francisco. Lo abbiamo sentito, insieme al suo collaboratore Mauro Aprile Zanetti.

Lei è uno dei protagonisti della Beat Generation. Quale pensa che sia stato il contributo principale che avete lasciato in eredità alla società?

«La nostra era una rivolta contro la meccanizzazione, la spersonalizzazione della vita, l’egemonia del denaro. Siamo stati un po’ dei precursori».

Secondo lei che ruolo hanno, oggi, gli intellettuali?

«Il ruolo del poeta è sempre stato lo stesso, da Platone ad oggi: deve essere il nemico dello Stato, dar del filo da torcere al potere. Chi governa deve temere la penna e la parola. Per questo, il ruolo degli intellettuali è fondamentale anche nella nostra società».

Ma lei pensa che oggi cisiano persone o movimenti culturali che stanno svolgendo questo compito?

«Più che altro direi che siamo ancora in attesa. Stiamo aspettando una “rivoluzione .com” e che la generazione della Silicon Valley alzi la voce. Lo dico con un filo di speranza e un po’ di ironia: attendiamo che queste nuove generazioni facciano resistenza».

C’è qualcosa, in particolare, a cui bisogna fare resistenza?

«Il potere in generale. Da americano, però, penso in particolare all’amministrazione Trump. Ma attenzione, la resistenza non deve essere necessariamente letteraria o degli intellettuali. Tutti possono farla».

Lei oggi vive a San Francisco, ma le sue origini sono bresciane. Che rapporto ha con Brescia e l’Italia?

«Mio padre arrivò negli Stati Uniti dopo essere emigrato dalla provincia di Brescia. Sono venuto a vedere la casa in cui nacque e la Polizia mi ha fermato, allertata da un vicino. Vivo a San Francisco, ma il mio cuore è a Brescia».

Le piace la mostra organizzata a Santa Giulia?

«Molto. Mette in evidenza lo spirito di ribellione. Mi sento come il monello di Charlie Chaplin che, sempre inseguito dal male, mantiene la sua innocenza».

Dalla Beat Generation alla digital generation: qual è il suo messaggio ai giovani?

«Mangia bene, ridi spesso, ama molto».