Violenza e aggressioni in corsia Vittima un infermiere su tre

Lo studio delle università: meno del 5% però ha segnalato o denunciato gli attacchi verbali o fisici . A farne le spese sono soprattutto le donne (75% dei casi), pari a 15mila professionista in Lombardia

di Federica Pacella

Un infermieri su tre, nell’ultimo anno, ha subito violenza durante i turni di lavoro, ma meno di un 5% ha segnalato o denunciato l’aggressione, verbale o fisica che fosse. È quanto emerge dalla ricerca CEASE-it (Violence against nurses in the work place), conclusa ad aprile 2021 e svolta da otto università italiane, (capofila l’Università di Genova con la professoressa Annamaria Bagnasco, presenti anche le Università degli Studi di Milano e di Brescia) su iniziativa della Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche (Fnopi).

In Lombardia, gli infermieri superano quota 64mila: rapportando la percentuale delle vittime di aggressione (32,3) al totale, significa che nell’ultimo anno più di 20.600 professionisti ha subito almeno una violenza fisica o verbale durante il proprio lavoro. A farne le spese sono soprattutto le donne (75% dei casi, pari a oltre 15mila professioniste in Lombardia). Il 96% delle vittime, però, non denuncia né segnala questi episodi: per la Lombardia, si stimano quindi oltre 19mila casi sommersi. "Si tende a non segnalare soprattutto gli episodi di violenza verbale – conferma Stefania Pace, presidente OPI Brescia e coordinatrice OPI della Lombardia – che lasciano però un segno profondo negli operatori, di delusione e frustrazione. La nostra sollecitazione è invece di segnalare sempre e subito tutti gli episodi di violenza, perché possano essere messe in atto politiche aziendali per ridurre l’esposizione a queste forme di aggressione, anche attraverso un maggiore coordinamento con le forze dell’ordine". Preoccupa soprattutto i casi che non emergono, che non vengono denunciati perché ormai sono percepite e considerate, dagli stessi infermieri, come dinamiche connaturate alla professione. "Quello che amareggia è che queste situazioni si verificano mentre si sta svolgendo un lavoro di aiuto, mentre si sta prestando soccorso", sottolinea Pace. Non aiuta la carenza di infermieri negli organici: in Lombardia, ne mancano almeno 9500 in base agli standard previsti del cosiddetto ‘DM 71’ (delibera 21 aprile 2022 del Consiglio dei ministri). La carenza restringe, però, pericolosamente il tempo di cura oppure si aumenta la possibilità che l’infermiere precipiti in una condizione di ‘burnout’ (33%). A ciò bisogna aggiungere che il 10,8% di chi ha subito violenza, presenta danni permanenti a livello fisico oppure psicologico. "Per restituire dignità all’attività professionale e per garantire la sicurezza degli infermieri durante l’orario lavorativo - spiega Barbara Mangiacavalli, presidente Fnopi – è quanto mai urgente inserire questa professione tra le categorie usuranti, mentre ora è riconosciuta soltanto la classificazione tra i lavori gravosi".