Collezionista accusa: mai pagati i miei beni ceduti in televendita

Lei gli affida orologi, quadri e pezzi d’epoca da vendere durante le trasmissioni televisive, lui realizza l’affare ma si tiene buona parte del ricavato

Il tribunale

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Brescia, 18 maggio 2019 - Lei gli affida orologi, quadri e pezzi d’epoca da vendere durante le trasmissioni televisive, lui realizza l’affare ma si tiene buona parte del ricavato. E’ questa in sintesi l’accusa che una collezionista muove nei confronti di Federico Borsari, l’amministratore del canale Cagnola, l’emittente Tv di Roncadelle specializzata in televendite di beni d’antiquariato, mobili e tappeti che anni fa, prima dei rovesci finanziari, era nota alle cronache con il nome di Telemarket. La signora, una 76enne di Pesaro, ha denunciato il patron della srl televisiva per appropriazione indebita e truffa. I fatti si sarebbero consumati a tra il 2015 e il 2016. L’anziana a più riprese avrebbe consegnato all’amministratore unico della società bresciana 28 quadri, 4 pendole e 2 orologi, merce per un valore di 34.900 euro, dando mandato a Borsari di vendere durante le aste televisive.

I beni hanno trovato acquirenti tra gli spettatori dei programmi, e l’operazione è andata a buon fine. Borsari tuttavia al momento di di rifondere la collezionista avrebbe trattenuto per sé due terzi dell’incasso. Dopo il pagamento di un acconto, avrebbe promesso di liquidare la somma restante a rate ma di fatto la creditrice sarebbe rimasta a bocca asciutta, tuttora in attesa di 22.944 euro. L’inchiesta, avviata sulla scorta della denuncia, è però a un passo dall’archiviazione: per il pm Ambrogio Cassiani la vicenda è risolvibile in ambito civilistico e non ci sono gli estremi per procedere nei confronti del patron del canale Cagnola.

La presunta parte offesa, però, che punta a costituirsi parte civile a un processo, si oppone. E ieri, difesa dall’avvocato Paolo Mercuri del foro di Rovigo, ha chiesto al gip Riccardo Moreschi di rimandare il fascicolo in Procura perché sia formulata l’imputazione. «Il comportamento dell’amministratore è sicuramente doloso – si legge nell’atto di opposizione – La questione non è solo civilistica». Borsari non ha pagato «in malafede», stigmatizza il difensore della collezionista, «essendo peraltro a conoscenza di essere gravato da protesti (per 600mila euro, ndr) dal 2016». Il giudice ha preso tempo e ha riconvocato le parti il 20 settembre. L’indagato nel frattempo risulta irreperibile.