Tramonte, un alibi contro l’ergastolo per la strage di piazza Loggia

L’avvocato: "Era al lavoro, trovati i testimoni. Ora la revisione"

Maurizio Tramonte

Maurizio Tramonte

Brescia, 12 luglio 2019 - Maurizio Tramonte, al contrario di quel che scrivono i giudici, la mattina della strage di piazza Loggia non era nel cuore di Brescia devastato dalla bomba. «Il suo alibi regge. A distanza di 45 anni sono saltati fuori dei testimoni che gli danno ragione». A parlare è il direttore della Fondazione progetto innocenti, Baldassarre Lauria. Da qualche mese l’avvocato palermitano che si occupa di errori giudiziari lavora a una richiesta di revisione per l’ex spia dei servizi segreti condannata all’ergastolo per la strage del 28 maggio 1974, otto morti e oltre cento feriti.

Unidici processiI, tre istruttorie finite in due ergastoli, due fascicoli ancora aperti (uno in procura ordinaria, uno ai minori) sui presunti esecutori materiali. Sicuro dell’innocenza del suo assistito, dal dicembre 2017 detenuto nel carcere di Fossombrone, Laurìa è alle battute finali della sua contro-indagine e promette sorprese. «Depositerò l’istanza alla Corte d’appello di Venezia in settembre. Abbiamo le prove che Tramonte diceva il vero, anche se non è stato creduto. Era alla Acrilgraph srl di Limena, nel Padovano, a lavorare in un’azienda specializzata in plexiglass tuttora esistente. Lavorava in nero e fu assunto nel giugno 1974. Dunque attestare ufficialmente la sua presenza in azienda nel mese maggio è impossibile.

Però ci sono dei colleghi che ricordano: lui era con loro». Ex infiltrato del Sid, sedotto dal Msi e da Ordine nuovo, l’ex fonte Tritone è ritenuto dai giudici un fiancheggiatore del medico veneziano Carlo Maria Maggi, il deus ex machina della strategia della tensione (l’altro condannato all’ergastolo per la bomba di Brescia, è morto l’anno scorso a 83 anni ai domiciliari). Tramonte alle riunioni preparatorie ad Abano Terme c’era, sapeva delle intenzioni stragiste della destra eversiva e non si è mosso per impedire che i candelotti di gelignite venissero infilati in quel cestino dei rifiuti. I giudici dell’appello bis, da cui uscì condannato, lo collocano il 28 maggio 1974 in piazza Loggia. Una dimostrazione della sua «intraneità» alle trame eversive, sentenziano. Agli atti c’è anche una foto di giornale che Tramonte scherzando avrebbe mostrato a un compagno di cella alludendo alla sua presenza a Brescia («Vediamo se indovini chi è questo») e per il consulente della Procura Luigi Capasso il giovane immortalato è «altamente compatibile» con lui. Laurìa però scuote la testa: «Un esame antropometrico sulla foto porta a conclusioni diverse. Il soggetto ritratto ha un difetto fisico che Tramonte non ha. Non è lui. Produrremo anche altre foto». Ma non è tutto. Critico nei confronti della condanna emessa dopo una doppia assoluzione, in primo e secondo grado, Laurìa in caso di rigetto della revisione si dice pronto a bussare alla Corte europea dei diritti dell’uomo. «La sentenza è frutto di un evidente errore procedurale, la riforma Orlando la boccerebbe».