Rifiuti carichi di veleni sepolti a Rezzato e Ghedi

L’inchiesta della Dia ha svelato un giro di false bonifiche di fanghi industriali. Secondo il pm, tra 2016 e 2018, ne sono stati interrati 450mila tonnellate

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di Beatrice Raspa

Ci sono 450mila tonnellate di fanghi industriali e di depurazione non trattati, interrati tra Brescia e Cremona, e poi un’azienda che per risparmiare sulla bonifica dei rifiuti pagava le ditte incaricate dello smaltimento perché li facessero sparire dalla circolazione. Sono i dettagli emersi da “Similargilla“, un’indagine del pm dell’Antimafia Mauro Leo Tenaglia, sfociata in un sequestro preventivo di quote azionarie, conti correnti e rapporti finanziari per un valore di sei milioni di euro.

Quattro le aziende coinvolte in tre province diverse - Mantova, Brescia e Cremona - ovvero la Recuperi Industriali a Carbonara Po’, nel Mantovano, le due imprese alle spalle di una ex cava a Rezzato e dell’impianto Inferno di Ghedi, nel Bresciano, e un altro sito individuato nel Cremonese. Gli imprenditori al vertice delle aziende sono tutti sotto inchiesta per traffico illecito di rifiuti e smaltimenti non a norma. E per due - un 68enne di Erbusco e un 49enne del Mantovano, titolari della Recuperi Industriali - sono stati raggiunti da una misura cautelare (l’obbligo di firma). L’operazione, condotta dagli uomini della Dia, dai carabinieri forestali e dalla polizia giudiziaria della Procura, ha preso le mosse nel 2016. Sotto la lente è finita appunto la Recuperi Industriali, ora in regime di fallimento, autorizzata al recupero di fanghi speciali non pericolosi, derivanti da depuratori e processi industriali. L’azienda avrebbe dovuto riciclare le scorie trasformandole in similargilla - prodotto che ha dato il nome all’operazione - un materiale perlopiù naturale utilizzato per ripristinare siti degradati, sigillare discariche oppure nel settore edile. Invece, stando agli accertamenti, i rifiuti che lasciavano il sito, anche se dotati di documenti regolari, non erano trattati correttamenti, con evidente risparmio sui costi di bonifica. Carotaggi sui camion in uscita avrebbero evidenziato la presenza di inquinanti. I prodotti “end of waste“, ovvero derivanti dal recupero, erano tali sono sulla carta perché in realtà viaggiavano ancora carichi di veleni. E l’azienda pare pagasse perché questa economia circolare illegale funzionasse. Tra il 2016 e il 2018 sarebbero stati conferite 450mila tonnellate di rifiuti.