"Battitura" al Nerio Fischione: protesta dei detenuti bresciani contro il sovraffollamento

Alle 16, nell'ala Sud del carcere è partita la manifestazione pacifica

Carcere 'Nerio Fischione', ore 16. Nell'ala Sud i detenuti iniziano la loro protesta pacifica, la battitura per protestare contro il sovraffollamento. Nella casa circondariale di Brescia i numeri sono insostenibili, con 306 detenuti in una struttura che potrebbe contenerne solo 189. Con solo 4 educatori per loro e per i 100 di Verziano, è impensabile la rieducazione ed il reinserimento in società, ma gli spazi non sono sufficienti neanche a garantire una quotidianità dignitosa. Col caldo record di luglio, ad esempio, sono stati costretti a dormire per terra, su lenzuola bagnate, per poter resistere all'afa.

La protesta

Lunedì avevano annunciato che, a partire da oggi, avrebbero protestato con battitura per 3 volte al giorno e che non avrebbero consumato il cibo distribuito dal carcere. Il colloquio con la garante dei detenuti, Luisa Ravagnani, ha portato a optare verso una protesta responsabile, per evitare di danneggiare i più fragili ma anche per non sprecare il cibo che, altrimenti, finirebbe nella spazzatura. Alle 16, comunque, una parte ha comunque manifestato, sempre pacificamente, battendo sulle sbarre verso la strada, dove erano presenti alcuni famigliari, e lanciando il loro grido d'aiuto: "indulto", "misure alternative", "libertà".

La lettera

Tramite la garante Ravagnani, invece, hanno consegnato una lettera in cui spiegano perché non è più accettabile il sovraffollamento. "Il sovraffollamento - si legge - non è solo una questione di numeri e di metri quadri stabiliti a livello europeo e controllati (con più o meno attenzione) dal Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria: il sovraffollamento è una questione di uomini e donne accatastati in spazi non dignitosi e costretti a condividere ogni attimo della propria esistenza, per lunghi periodi, con un eccessivo numero di altri uomini e donne nella medesima condizione. Il sovraffollamento è una questione di mancanza di prospettive/alternative per il futuro, è l’eliminazione della speranza che dopo il carcere ci possa essere una vita nuova, positiva, per noi, per le nostre famiglie ma anche per la collettività intera verso la quale sappiamo di avere un debito, almeno in termini di fiducia. Perché sovraffollamento vuol dire non avere sufficienti figure educative di riferimento per ciascuno di noi, con le quali poter intraprendere un percorso di cambiamento; il sovraffollamento è una questione di assistenza sanitaria che non può raggiungere tutti nel momento del bisogno e che deve avere a che fare anche con soggetti che non dovrebbero essere gestiti in carcere perché probabilmente destinati a strutture e servizi differenti, meglio rispondenti alle loro specifiche necessità, tuttavia anche queste non sempre disponibili all’accoglienza perché già stracolme; il sovraffollamento è una questione di colloqui e telefonate con le famiglie che faticano ad essere gestiti adeguatamente e nel rispetto dei diritti di tutti, soprattutto dei minori coinvolti; il sovraffollamento è una questione di attività lavorativa inframuraria, disponibile solo per pochissimi di noi, lasciando gli altri a pesare sull’economia delle famiglie all’esterno o totalmente indigenti, con un rilevante debito da pagare allo Stato una volta terminata la pena (siamo l’unico paese europeo che grava i detenuti delle spese di mantenimento in carcere e che a fine pena chiede agli ex detenuti di pagare somme che, se avessimo o avessimo avuto, magari non ci avrebbero portato a delinquere) Il sovraffollamento è una questione di forniture di beni igienici e di pulizia che il carcere non riesce a sostenere per tutti e che, senza il contributo di qualche persona illuminata, non riusciremmo ad avere Il sovraffollamento è questo e molto altro ma, soprattutto, è una questione di dignità ferita, violata, a volte distrutta. Il sovraffollamento, in ultimo è una questione di esistenze spezzate, di uomini e donne che si tolgono la vita e che non dovrebbero costituire solo statistiche (che magari a volte attirano anche l’attenzione) perché hanno nomi e cognomi, famiglie ferite e tanta disperazione alle spalle".

In serata sempre la garante Luisa Ravagnani, che ha passato il pomeriggio al Nerio Fischione, ha fatto sapere che la maggior parte dei detenuti si è  dissociata dalla "battitura" nell'ala sud.

La richiesta: "Scontare la pena con dignità"

"Noi detenuti - prosegue la lettera -  siamo stanchi di parole, proposte, promesse che, almeno negli ultimi dieci anni non hanno portato a nulla. Nello stesso tempo sappiamo bene di essere l’ultima categoria a suscitare l’interesse di qualcuno e, probabilmente, anche l’ultima per la quale qualcuno decida di alzarsi e venire ad incontrarci, a vedere come viviamo. Non vogliamo però visite che servano solo a rattristare, nella migliore delle ipotesi, chi entra – di questo tipo ne abbiamo vissute molte, forse troppe – ma desideriamo incontrare qualcuno che tornando nel mondo libero e confermi che si è arrivati al capolinea, che è il momento di risolvere questa situazione insostenibile una volta per tutte, perché la dignità di ogni uomo ha pari valore, indipendentemente dal suo stato di libertà o prigionia. Almeno questo è quello che ci hanno sempre detto, quello che è scritto nella nostra Costituzione. Noi detenuti che utilizziamo questa nuova forma di protesta – la neonata MIR – non chiediamo di evitare la nostra pena ma urliamo a gran voce, affinché qualcuno ci senta e sappia ascoltarci, che vogliamo scontarla con dignità (concetto espresso anche dal Presidente della Repubblica nel suo secondo discorso di insediamento) e con la possibilità di tornare non solo liberi ma migliori".