Processo Caffaro, per la Procura di Brescia la soluzione è più vicina

La Procura conferma le ipotesi investigative: le percolazioni di mercurìo e cromo sarebbero di origine recente

Il sindaco Emilio Del Bono in visita agli impianti della Baccaro con Roberto Moreni

Il sindaco Emilio Del Bono in visita agli impianti della Baccaro con Roberto Moreni

Brescia (22 maggio 2020) - Caso Caffaro, la Procura è pronta a chiudere le indagini sull’ultima bomba ambientale scoperta un anno fa nel Sito di interesse nazionale (Sin) e all’interno dello stabilimento ancora operativo. L’Arpa ha concluso i carotaggi disposti dalla magistratura nelle due aree, e i primi risultati confermerebbero l’ipotesi investigativa: le percolazioni di mercurio e cromo esavalente rintracciati nel terreno e nella falda sarebbero di origine recente, questa la tesi accusatoria, e non scomoda eredità del polo chimico industriale attivo in via Milano fino agli anni Ottanta (e dal 2002 sito di interesse nazionale in attesa di bonifica, con Pcb e diossine alle stelle).

Proprio accertare la collocazione temporale degli sversamenti era il punto nodale dell’attività investigativa, che a breve – entro l’estate – volgerà al termine. Due i filoni aperti dal pm Donato Greco per inquinamento ambientale e gestione non autorizzata dei rifiuti. Per i gocciolamenti di mercurio da tubature e cisterne nel vecchio capannone 24, all’interno del sito nazionale, risultano indagati il commissario straordinario Roberto Moreni, il liquidatore della ex Snia Marco Cappelletto, il liquidatore della vecchia Caffaro prima dell’amministrazione straordinaria Fabrizio Pea, e il delegato ambientale della ex Snia Alfiero Marinelli. Per quanto riguarda invece le infilitrazioni di cromo esavalente trovate nelle matrici della porzione di fabbrica attiva – oggi vi si produce clorito di sodio per la potabilizzazione degli acquedotti – sotto inchiesta ci sono i vertici di Brescia Caffaro srl: il proprietario Antonio Todisco e l’ad Alessandro Quadrelli con il direttore generale Alessandro Francescono e il direttore dello stabilimento Vitantonio Balacco. Gli inquinanti sono già percolati in falda.

La scoperta di veleni all’ombra della nuova Caffaro aveva spinto mesi fa la Provincia di Brescia a revocare l’autorizzazione integrata ambientale. Il Tar ha poi disposto la ripresa dell’attività a condizione della messa in sicurezza da parte della società. Ora la Procura dovrà decidere se notificare il 415 bis a tutti gli indagati, che rigettano ogni responsabilità in merito all’attualità dell’inquinamento, o se stralciare qualche posizione. Ma non è tutto. Lo scorso Natale erano finite sotto sequestro quattro ex linee produttive nell’area della ex Snia (Sin), dove erano state rinvenute cisterne arrugginite con litri e litri di perborato di sodio, cloruro ferrico, cloroparaffine, silicati, amianto ed ethernit in quantità. E ancora, i vertici di Caffaro Brescia srl sono coinvolti pure da un altro procedimento per il mancato smaltimento di 12 vecchi trasformatori inquinati di Pcb.