Brescia, il primario assolto: "Dottor morte? In corsia a testa alta, mi aspettano"

Carlo Mosca accusato da due infermieri, oggi indagati: perizie con errori madornali fatte da persone incapaci

Il pollice all’insù in segno di vittoria, il volto ancora teso ma sorridente. Si è presentato così ai giornalisti, fuori dal Tribunale di Brescia Carlo Mosca, primario del Pronto soccorso di Montichiari, dopo l’assoluzione con formula piena, arrivata venerdì sera, dall’accusa di omicidio volontario. Il pm aveva chiesto 24 anni di carcere per la morte di due pazienti Covid a marzo 2020, perché, secondo le testimonianze di due infermieri, avrebbe somministrato Propofol e Succinilcolina, farmaci incompatibili con la vita, che andrebbero utilizzati prima dell’intubazione, mai eseguita nei due casi. La corte d’assise lo ha assolto perché "il fatto non sussiste" e ha disposto l’immediata cessazione della misura degli arresti domiciliari.

«Sono sempre stato convinto dell’assoluzione, altrimenti non avrei chiesto il rito abbreviato", commenta Mosca, che ha sempre parlato di un complotto. "Chiederò il risarcimento per questo anno e mezzo ai domiciliari. Non mi interessa, però, adesso l’aspetto economico, mi interessa tornare al mio posto di lavoro, dove camminerò a testa alta, come ho sempre fatto". Subito dopo la sentenza, sono stati tanti gli attestati di solidarietà arrivati a Mosca. "Ho persone che mi aspettano e che vogliono sapere quando ricomincio, per manifestare con degli striscioni. Sono farmacisti, medici di base, malati che ho curato. Questa è l’attesa della popolazione di Montichiari, Castenedolo e via dicendo".

Mosca si sfoga, invece, su quanto ha sentito in aula in questi mesi. "Ho imparato che purtroppo non siamo tutti uguali e che i periti della pubblica accusa sono caduti in lacune madornali. Alunni del secondo anno dove insegno io (Università degli studi di Brescia, ndr ) che dicono che il paziente è ancora vivo e va massaggiato perché ha un pacemaker, abbiamo detto tutto: il pacemaker non è spento ancora adesso. O fare l’autopsia dentro una bara e non su un tavolo autoptico. Ora mi sfogo: sono chiari segni di incapacità. E una persona, intanto, resta a casa sapendo queste cose, dopo aver studiato una vita". Mosca ringrazia invece i suoi avvocati e i periti, che sono riusciti a dimostrare l’assenza di Propofol nel cervello del paziente.

Quanto ai due infermieri, la Corte d’assise ha disposto la trasmissione degli atti in Procura per calunnia. "Mi sembra un atto dovuto – conclude Mosca – penso che il giudice abbia capito bene l’ambiente, il periodo storico e le motivazioni per cui questi infermieri si sono mossi. Erano gli ultimi due arrivati, spostati da un reparto all’altro. Posso comprendere la loro delusione, ma io dovevo svolgere il mio ruolo".