Volontari uccisi in Bosnia. "Dietro la nostra missione nessun segreto, solo aiuti"

Zanotti, sopravvissuto a Gornji Vakuf risponde ai genitori di Sergio Lana

L’incontro in Loggia con sopravvissuti e parti civili

L’incontro in Loggia con sopravvissuti e parti civili

Brescia, 5 marzo 2017 - "Dietro la nostra missione in Bosnia non c’era nulla di segreto. Eravamo cinque persone ognuna con la propria storia che volevano portare aiuti a popolazioni assediate dalla guerra". Agostino Zanotti, uno dei sopravvissuti alla strage di Gornji Vakuf del 29 maggio 1993, risponde così senza voler fare alcuna polemica ai genitori di Sergio Lana, una delle tre vittime di quell’eccidio. Sono stati loro che, dopo la sentenza con cui è stato condannato all’ergastolo Hanefija Priji, il comandante Paraga, che per i giudici diede l’ordine dell’omicidio, a sollevare dubbi sulla reale natura della missione umanitaria finita nel sangue. "Già il processo celebrato in Bosnia (alla fine di quel procedimento Paraga venne condannato a 12 anni di reclusione scontati in un carcere del paese balcanico) aveva negato piste alternative – ricorda Zanotti – Quello che bisogna ricordare ora dopo questa sentenza storica il valore della nostra esperienza di quella primavera".

Il Comune di Brescia, una delle parti civili nel processo che si è celebrato con il rito abbreviato e che si è concluso giovedì con la condanna al massimo della pena per l’ex militare bosniaco, ieri ha voluto commentare la sentenza invitando in Loggia i sopravvissuti dell’eccidio, i familiari delle vittime e le altre parti civili. "E’ stato dimostrato che non si è trattato di un episodio di banditismo, né di una strage casuale – ha sottolineato l’assessore Gianluigi Fondra che negli anni ‘90 durante la sanguinosa guerra balcanica è più volta stato in Bosnia per portare aiuti – La giustizia italiana ha avuto il coraggio di riprendere in mano tutte le carte e il processo si è concluso in tempi davvero brevi se paragonati a quelli di altri procedimenti".

Soddisfatti gli avvocati delle parti civili: "Dal processo celebrato a Brescia è emersa la chiara ricostruzione di ciò che è accaduto quel giorno sui monti della Bosnia Centrale – ha sottolineato l’avvocato Alessandro Brizzi, il legale del Comune di Brescia – Altre ricostruzioni non trovano spazio anche se negli anni successivi alla strage ci sono stati alcuni servizi segreti che hanno cercato di "manipolare" l’episodio a proprio vantaggio".

Anche per l’avvocato Andrea Vigani la sentenza emessa giovedì dal tribunale di Brescia ha una portata straordinaria: "Sono stati giudicati fatti avvenuti 25 anni fa in un contesto di guerra – ha sottolineato il legale – L’aspetto più importante è che è per una vicenda così delicata stato superato il principio del ne bis in idem che impedisce di giudicare due volte per lo stesso reato una persona. Si è sottolineata inoltre la natura politica di questo triplice omicidio e soprattutto l’input a riprendere in mano questo procedimento è arrivato direttamente dal ministero della Giustizia italiano".