Ostaggio dell'Isis, bresciano libero dopo tre anni: "Non avevo perso la speranza"

Alessandro Sandrini salvato da Al Qaeda

L'ultima immagine nota di Sandrini

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Brescia, 23 maggio 2019 - La notizia arriva nel tardo pomeriggio: Alessandro Sandrini, 32 anni, l’ostaggio italiano rapito al confine tra Siria e Turchia nell’autunno 2016, è stato liberato dal ‘governo di salvezza’, formazione jihadista antigovernativa, di fatto l’ala siriana della galassia di al Qaeda, che controlla gran parte della provincia di Idlib, nel nord della Siria. Lo annunciano le stesse forze ribelli pubblicando sui social le foto dell’italiano, originario di Folzano, in provincia di Brescia, e affermando che il bresciano era nelle mani di una banda criminale specializzata in rapimenti con riscatto. Rientrato a Roma nel tardo pomeriggio, Sandrini ha avuto ieri il primo contatto telefonico con la famiglia dopo un lungo silenzio. «Non ho mai perso la speranza di tornare libero. Sono stato tratto abbastanza bene, mai minacciato di morte: mi ha salvato l’attività fisica che riuscivo a fare e la disciplina che mi sono dato», ha detto al pm durante un primo colloquio. Il suo arrivo a Brescia è atteso forse già per domani, dopo un confronto approfondito con i magistrati. Sulla vicenda infatti la Procura di Roma aveva aperto un fascicolo per sequestro di persona con finalità di terrorismo.

Il caso, fin dall’inizio presenta più ombre che luci. Del rapimento si apprende infatti solo, nel dicembre 2017, un anno dopo la scomparsa. Non si hanno più sue notizie fino a quando, il 19 ottobre 2017, telefona alla madre per dirle di essere stato sequestrato. È la prima di una serie di telefonate. L’uomo appare poi il 31 luglio in un video con indosso una tuta arancione, in ginocchio e due carcerieri incappucciati alle spalle, sotto la minaccia degli Ak-47. «Mi uccideranno», dice nel filmato diffuso da Site, sito che monitora le attività jihadiste, secondo il quale Sandrini era in ostaggio in Siria insieme al giornalista giapponese Jumpei Yasud. «Chiedo all’Italia di aiutarmi, di chiudere questa situazione in tempi rapidi – dice nel video il bresciano, secondo il quale i suoi rapitori chiedono un riscatto alle autorità italiane -–. Due anni che sono in carcere, non ce la faccio più. Mi hanno detto che sono stufi, che mi uccideranno se la cosa non si risolve in tempi brevi». Sandrini mancava dal 3 ottobre 2016, quando salì su un volo che da Orio al Serio, via Istanbul, lo portò ad Adana, cittadina turca a 180 chilometri da Aleppo, dove aveva raccontato di essere andato in vacanza. Il primo a confermare la liberazione, a metà pomeriggio, è stato il padre, Gianfranco. «Ho sentito mio figlio alle 19,45: è già a Roma e mi ha detto ‘Ciao pa’, mi sei mancato tanto’. Gli ho risposto che non l’avevo mai mollato. Sono felicissimo, è la fine di un incubo».

Soddisfatto il premier Giuseppe Conte: «Il risultato al termine di un’articolata attività condotta, in territorio estero, in maniera coordinata e sinergica dall’intelligence italiana, dalla polizia giudiziaria e dall’unità di crisi del Mae». «Grande gioia e congratulazioni a tutti i servitori dello Stato che si sono adoperati per questo felice esito» è stato il commento del ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi. Ma il ritorno a casa sarà una festa solo a metà. In Italia l’uomo ha dei guai giudiziari e sembra destinato agli arresti domiciliari. Nell’ultimo anno il suo nome è comparso per ben due volte tra gli imputati in tribunale a Brescia. In un processo per rapina e ricettazione per aver tentato di vendere a cinesi dei tablet rubati da un fast food a Desenzano del Garda e per una rapina che avrebbe messo a segno prima dell’ottobre 2016. La liberazione di Sandrini riaccende i riflettori sul caso di padre Paolo Dall’Oglio, il gesuita rapito il 29 luglio 2013 mentre si trovava a Raqqa, quella che era la capitale dell’autoproclamato ‘califfato’ di Abu Bakr al-Baghdadi.