Era accusato di aver dilapidato il patrimonio del figlio, rimasto tetraplegico dopo un incidente, approfittando del proprio ruolo di amministratore di sostegno: in primo grado, a 82 anni suonati, era stato condannato a 3 anni e 2 mesi. La Corte d’Appello però ha riformato la sentenza in favore di Silvano Becchetti, l’anziano di Vestone finito a processo per peculato, al quale in secondo grado sono stati inflitti due anni (pena sospesa). I giudici hanno concesso le attenuanti generiche ed escluso l’aggravante del danno di grande entità. Di qui lo sconto di pena.
A trascinare il nonno in Tribunale era stata la nipote, la figlia del figlio, che contro il parente di costituì parte civile. La donna, nel luglio 2015 subentrata a Becchetti nell’amministrazione dei beni del padre, ruolo dal 2008 in poi rivestito dall’ultraottantenne, si convinse che il familiare si fosse impossessato nel complesso di 270mila euro operando magheggi sul conto corrente. Una tesi stigmatizzata dall’avvocato Luigi Stelio Becheri, difensore di Becchetti, secondo il quale il suo assistito utilizzò solo 60mila euro "per il bene della famiglia", alle prese con debiti da saldare e figli da crescere.
La vicenda aveva generato anche un contenzioso in sede civile, e a vincere fu il nonno. La nipote si vide negare dal Tribunale il decreto ingiuntivo con cui intendeva farsi restituire il presunto maltolto. Becheri aveva però eccepito che della cifra versata dall’assicurazione a titolo risarcitorio per l’incidente la donna aveva percepito una parte, dunque intentava cause in presenza di un conflitto di interessi. E il giudice, aprendo uno spiraglio alla tesi difensiva poi sviluppata e riproposta in Appello, ritenne che il semplice prelievo di denaro dal conto nulla provasse in termini di eventuale utilizzo personale dei soldi.
Beatrice Raspa