Prevalle, ragazza trovata morta nel fiume: "Jessica già minacciata di morte"

Il papà: mi disse che volevano ucciderla

Il luogo in cui è stata trovata Jessica Mantovani

Il luogo in cui è stata trovata Jessica Mantovani

Villanuova sul Clisi (Brescia), 18 settembre 2019 - «Un anno e mezzo fa mia figlia mi disse che volevano ammazzarla». Giovanni Mantovani è il padre di Jessica, la 37enne di Villanuova sul Clisi trovata morta tre mesi fa nel canale della centrale idroelettrica Dwk a Prevalle, a pochi chilometri da casa. Un caso su cui il pm Gianluca Grippo ha aperto un fascicolo per omicidio e nel quale ha iscritto nel registro degli indagati un amico di lei, Giancarlo Bresciani, 50 anni. L’uomo con cui Jessica aveva trascorso le ultime ore da viva, il 12 giugno scorso. Il giorno seguente, il corpo è stato rinvenuto nel corso d’acqua, pieno di graffi e lividi. Annegamento per caduta accidentale o suicidio, era l’ipotesi iniziale degli investigatori. L’autopsia però ha ribaltato il quadro: nei polmoni della donna non c’era acqua. Segno che era già morta prima di finire nel canale. E in testa ha una ferita che fa pensare a un’aggressione. «Ai carabinieri l’avevo detto subito: me l’hanno uccisa – racconta Mantovani –. Quando ho riconosciuto il cadavere ho ripensato a quell’episodio di un anno e mezzo fa. Un giorno lei si lasciò scappare una mezza frase, qualcuno l’aveva minacciata di farla fuori, mi disse senza aggiungere altro. Io non indagai, perché non si confidava, non volevo forzarla. Non ne parlammo più». Il papà non ha mai creduto al suicidio: «Jessica era il ritratto della gentilezza e dell’allegria, impossibile». L’idea del genitore è che la tragica fine della sua unica figlia sia collegata ai brutti giri in cui si era infilata per colpa della dipendenza dalla cocaina. «Forse ha visto qualcosa che non doveva vedere. O qualcuno le ha fatto del male perché si fidava troppo, anche delle persone sbagliate. Io la mettevo in guardia ma non c’era niente da fare. Non aveva la patente e se non le davo passaggi io, girava in autostop. Non aveva nemmeno un cellulare, perché continuava a perdere i telefoni». La sera prima della morte infatti la 37enne chiama il padre dal telefonino di Bresciani, che frequenta due o tre volte a settimana da mesi e come lei è senza auto. Ad accompagnarla a casa del cinquantenne, a Prevalle, nei giorni scorsi setacciata dalla Scientifica con il luminol, era stato proprio il papà. «Alle 20,30 voleva che la andassi a riprendere. Io non potevo subito e le ho spiegato di aspettarmi. Alle 21,30 ho richiamato e lui mi ha risposto che Jessica se n’era già andata da mezz’ora, forse con l’autostop. Da lì non l’ho più vista». Per denunciare la scomparsa, Mantovani attende le 21 della sera seguente. Non si è allarmato subito: la figlia a volte si allontanava per un po’. «Se ci ripenso ora non mi do pace: in quell’ultima telefonata la sua voce sembrava tranquilla, ma era anomalo che mi chiamasse alle 20,30. Era successo qualcosa di sicuro. In genere mi chiedeva di recuperarla nel cuore nella notte, o all’alba. Se fossi andato subito a riprenderla sarebbe ancora viva. Non me lo perdono».