Covid: un’arma in più con i monoclonali

Spedali Civili è fra i centri di infettivologia indicati per la cura che ha però precisi confini di applicazione

Francesco Castelli

Francesco Castelli

Brescia - Un’arma in più contro Covid-19: anche in Asst Spedali Civili, al via le cure con anticorpi monoclonali. L’azienda sanitaria è tra i 17 centri di infettivologia indicati dalla Regione per la somministrazione di questa cura, che ha però precisi confini di applicazione. "Sono dei prodotti che si usano già da almeno 20 anni per altre malattie, in particolare in ambito reumatologico o oncologico – spiega Francesco Castelli, direttore dell’Unità operativa di malattie infettive di Asst Spedali Civili di Brescia – di recente ne sono stati messi a punto alcuni molto specifici per il virus, che hanno dimostrato efficacia nel proteggere l’evoluzione della infezione in soggetti che siano in stato molto precoce della malattia e che, per le loro condizioni cliniche di base, hanno una maggiore probabilità di progredire verso forme cliniche molto severe".

Sulla base degli studi effettuati, Aifa li ha resi disponibili in Italia (seppur a precise condizioni), mentre Ema ha preso ancora tempo. "Sia chiaro che non sono per tutti e non sono farmaci salva-vita – specifica Castelli – possono essere definiti come una terapia precocissima, limitata a soggetti che per alcune caratteristiche, come obesità estrema, immunodeficienze, dialisi, presentano fattori di rischio che li rendono più fragili rispetto all’evolversi della malattia in forme gravi. La stima fatta è che, su 20 persone trattate, si previene una ospedalizzazione". Asst sta organizzando gli spazi per le infusioni che vengono fatte in via ambulatoriale: durano circa un’ora, a cui segue un’altra di osservazione.

«Si tratta di identificare dei percorsi, che consentano l’accesso di persone positive nelle strutture ospedaliere garantendo la sicurezza per tutti". Le prime infusioni partiranno in questi giorni, su pazienti segnalati da medici di medicina generale o pediatri di libera scelta. "Vale per persone selezionate – aggiunge Castelli – ad esempio non serve adottare questi farmaci in fasi avanzate della malattia né somministrarli a soggetti con comorbilità. È una cura che si aggiunge alle altre – ribadisce Castelli – ma non si sostituisce ai vaccini: ora occorre soprattutto immunizzare quante più persone è possibile". Castelli ammonisce dal rischio di enfatizzare troppo l’arrivo di un nuovo farmaco, come è accaduto, ad esempio, per una certa parte dell’opinione pubblica con il plasma iperimmune. "Dopo l’entusiasmo su casi aneddotici – ricorda Castelli – gli studi fatti non giustificano l’uso del plasma se non in casi particolari e a livelli precoci".