Brescia, matrimonio in odore di trucco: permesso di soggiorno negato

Il Tar respinge il ricorso di un tunisino, a cui era stato bocciato il rinnovo dei documenti. Era stato arrestato per stalking

Fedi nuziali (foto di repertorio)

Fedi nuziali (foto di repertorio)

Brescia, 24 giugno 2018 - Per i giudici amministrativi che hanno respinto il suo ricorso contro il diniego al rinnovo del permesso di soggiorno della Questura di Brescia, che lo scorso 16 gennaio ha stabilito anche la sua espulsione coattiva avvenuta poi a febbraio, è un soggetto pericoloso che non ha titolo per tornare in Italia. Lui, tunisino arrivato nel 1996 e titolare di un permesso per attesa occupazione, ha alle spalle una denuncia e un arresto per stalking oltre a due ammonimenti del questore per atti persecutori (uno datato 2013 e l’altro del 2017 dopo avere cercato cercato di ferire la compagna lanciandole un coltello) e poco importa ai giudici amministrativi che abbia deciso di riconoscere il figlio avuto da una italiana e che si sia sposato con un’altra ragazza italiana.

«La volontà di riconoscere il presunto figlio nato dalla relazione con una cittadina italiana e a sua volta cittadino italiano è ancora una mera ipotesi – sottolineano i giudici nelle motivazioni – relegata nella sola volontà del ricorrente, che peraltro si è limitato a inoltrare una richiesta in tal senso alla madre, a mezzo del proprio difensore lo scorso aprile quindi successivamente l’adozione e la notificazione del provvedimento impugnato». Non meno duro il giudizio sulle nozze celebrate nel Paese di origine dove è tornato a vivere dopo l’espulsione. «Quanto al matrimonio contratto in Tunisia con una cittadina italiana – osservano i giudici – pur dando atto dell’avvenuta trascrizione in Italia, come da certificazione prodotta in atti dalla difesa che ha presentato l’istanza, anche tale avvenimento risale ad epoca successiva (il 12 aprile) alla adozione e quindi alla notificazione del provvedimento impugnato».

Per i giudici si tratterebbe di un sotterfugio e ciò «comporterà la possibilità per l’amministrazione di valutare in caso di richiesta di rientro al seguito del coniuge, lo scopo eventualmente fraudolento del matrimonio, ossia il fatto che esso sia stato contratto al solo scopo di consentire allo straniero di fare ingresso e permanere in Italia». Tanto basta quindi per respingere il ricorso e condannarlo al pagamento di 2mila euro di spese.