Giallo di Marcheno, la moglie di Bozzoli: "Mario, chi ti ha ucciso deve pagare"

Irene, la consorte dell'imprenditore sparito: "La verità forse oggi è più vicina"

L’anatomopatologa Cristina Cattaneo nella ditta di Marcheno

L’anatomopatologa Cristina Cattaneo nella ditta di Marcheno

Brescia, 9 maggio 2018 - Si aggira, leggera, nei locali del centro odontoiatrico alla frazione Molinetto di Mazzano, diretto dal figlio e intitolato al marito. La clinica era il sogno del compagno di vita e oggi è una sua grande conquista. L’aria, la voce sono dolci. Dietro traspaiono la forza, la determinazione con cui chiede la verità. Irene Zubani è la moglie di Mario Bozzoli. La procura generale ha avocato l’inchiesta. È stata una scossa nell’enigma di Marcheno. Si sono ravvivate anche le speranze di Irene Zubani, che scioglie il riserbo in cui cui si è avvolta in questi anni terribili. 

Signora Bozzoli, cosa si attende a distanza di tanto tempo? «Dopo due anni e mezzo, ci avviamo al terzo, mi aspetto che finalmene qualcosa si muova e che, se qualcuno sa, parli».

La telefonata di quella sera, l’ultima di suo marito. «Un uomo che sta per tornare a casa. Non mi ha fatto pensare che potesse succedere qualcosa. Le sue parole sono state: ‘Ho fatto un po’ più tardi del solito, mi faccio la doccia, arrivo’».

Il giorno dopo, dai carabinieri, lei presenta una denuncia per scomparsa che suona come un atto di accusa nei confronti del fratello di suo marito e dei nipoti. «Ho descritto il clima all’interno dell’azienda. Era un fatto. Ma quel clima era una costante. Non era una eccezione legata a quella sera in particolare, per quanto ne so io. Era un clima costante. All’interno dell’azienda non si andava d’accordo per motivi lavorativi, due modi diversi di concepire il lavoro».

C’è quel particolare di un felpa di suo marito trovata su un appendiabito al piano terra, nella zona degli uffici. «Mario non aveva mai avuto l’abitudine di lasciare qualcosa di suo negli uffici. Quello era un indumento di lavoro fuori posto. Mario si cambiava nello spogliatoio e lasciava gli indumenti nel suo armadietto personale oppure sulla sua poltrona. Comunque sempre all’interno dello spogliatoio».

Quella poltrona che fine ha fatto?  «Mario mancava, era ancora una persona scomparsa, da cercare. Quegli oggetti sono stati buttati poco dopo il dissequestro dell’azienda. La poltrona è stata buttata. È stato buttato anche il fornetto microonde regalo di Mario ai dipendenti. È stato cancellato il nome dal suo armadietto, sostituito da quello di Oscar (Oscar Maggi, uno dei dipendenti - ndr)».

Che uomo era Mario Bozzoli?  «Al di là dell’essere mio marito, con chiunque si parli se ne sente dire bene: una persona onesta, semplice, lavoratore fianco a fianco con i suoi operai. Faceva due parole con tutti quelli che incontrava. Un padre premuroso, attento, presente. Un difetto? Era troppo buono. Aveva cinquant’anni, ma era un uomo giovane, con progetti, ambizioni, entusiasmo. All’interno dell’azienda il clima era quello, ma lui aveva canalizzato la sua voglia di fare in questa clinica odontoiatrica che adesso porta il suo nome».

Signora, che cosa vorrebbe, che cosa vuole?  «È ovvio che voglio verità e giustizia per mio marito, Anche se Mario non me lo restituirà nessuno, anche non tornerà mai più ai suoi affetti. Ma voglio sapere cosa è successo, chi è stato, cosa gli hanno fatto. Voglio sapere tutto. E se qualcuno gli ha fatto del male, che paghi. La mia vita è distrutta. I nostri figli non rivedranno più il padre».

Quasi tre anni. Come sono stati?  «Interminabili».