Bimbi mai nati, tombe esumate a Brescia. Le mamme: ferite aperte

Nuove polemiche sulle mancate comunicazioni alle famiglie. Il caso in Consiglio comunale

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La disperazione delle famiglie da un lato, i regolamenti dall’altra. La vicenda delle tombe dei bimbi mai nati, 2.500 esumate dal Vantiniano in un mese, senza che molte famiglie avessero visto la comunicazione su albo pretorio e avvisi del cimitero, è tornata a scaldare il Consiglio comunale. Forza Italia, Lega Nord e Fratelli d’Italia hanno presentato tre interrogazioni, per avere delucidazioni su come sono state esumate le tombe di bambini non nati, di cui sono stati ritrovati resti ossei solo in 25 casi. L’assessore di competenza Valter Muchetti (nella foto) ha spiegato che, in base alle norme, se la famiglia non richiede esplicitamente di tumulare i resti, è l’ospedale che si occupa di consegnarli al Comune, in contenitori biodegradabili, che vengono messi in un apposito riquadro del Vantiniano, da cui possono essere esumati dopo 5 anni.

"Ci sono 64 genitori che hanno partecipato alle esumazioni – ha sottolineato Muchetti – e hanno ringraziato per le attenzioni". Spiegazioni che non hanno convinto il centrodestra, secondo cui l’assessore avrebbe quanto meno dovuto chiedere scusa. Dalla loro, i tre gruppi hanno testimonianze di diverse mamme, come quella letta da Paola Vilardi (FI) scritta da Miriana Poletti, che aveva acquistato una tombina di marmo, portando un modulo dei servizi cimiteriali "in modo da avere l’autorizzazione da parte dei servizi Cimiteriali alla successiva posa. Ieri (in commissione di venerdì, ndr) la dirigente Begni ha detto che non erano autorizzate le tombine in marmo in quell’area ma non è vero. Nelle ultimissime tombine messe ne trovate ancora fatte e finite in marmo. Le ruspe o piccoli escavatore c’erano!! Siamo mamme sconvolte e addolorate ma vediamo ancora bene e non abbiamo allucinazioni". La donna evidenzia che gli oggetti che erano sulle tombine non erano catalogati in scatole chiuse. "A me dopo aver trovato il terreno spianato è stato detto che non c’era più niente solo il lenzuolino (che hanno buttato, evidentemente non era così importante quando io pagherei per averlo), che la lapide in marmo era al macero, che gli oggetti erano a disposizione e che se volevo la targhetta si poteva avere". Targhetta che la donna ha poi recuperato. "Per loro con questo ultimo passaggio la ‘pratica’ era chiusa. Per me invece, come per tutte le mamme e i papà coinvolti, la ferita era riaperta". Federica Pacella