Nuda nel bosco per confessare i tradimenti: due anni e mezzo all'ex fidanzato violento

Jonathan Satta, di Lumezzane, avrebbe portato la donna in un'area boschiva costringendola a camminare senza vestiti per umiliarla

Tribunale di Brescia

Tribunale di Brescia

Brescia - Non è stato sequestro, ma violenza privata. E le lesioni sono opera sua. Risultato: due anni e mezzo di carcere. Questa la condanna che il giudice, Federicio Lodi, ieri ha inflitto a Jonathan Satta, 25enne di Lumezzane a processo con l’accusa di avere picchiato la ex che l’aveva lasciato, di averla caricata a forza su un furgone e portata in un bosco dove la avrebbe obbligata a camminare nuda per umiliarla e farle confessare i suoi tradimenti.

Lesioni aggravate, sequestro e violenza privata erano le imputazioni originarie. Il Tribunale ha ritenuto provate le prime due – ma ha riqualificato il sequestro in violenza privata – mentre ha assolto l’imputato dall’ultima, ritenuta insussistente anche dalla procura in seguito alla ritrattazione della parte offesa. Ha inoltre trasmesso gli atti in procura per indagare la donna e la madre del giovane, che avrebbe reso falsa testimonianza. 

La vicenda si era snodata lo scorso 24 marzo tra Pompiano, dove la coppia aveva preso casa, i monti di Vestone, a 80 km, e Lumezzane, paese di residenza delle famiglie. Precedenti per violenza sessuale, Satta quel giorno aveva pestato la ex – questa la tesi dell’accusa - e urlando “ti ammazzo e poi mi costituisco“ l’aveva rapita. Una telecamera in strada aveva ripreso la scena, notata anche dai vicini che avevano chiamato il 112. Il pm Alessio Bernardi aveva chiesto 3 anni. La giravolta della 40enne sarebbe "solo un tentativo goffo di mascherare i fatti, un autosabotaggio frutto di debolezza", quando i riscontri alle accuse originarie sono "plurimi e concordanti".

Ci sono il video, "la prova regina", le testimonianze di chi ha visto l’aggressione, il referto medico in cui si parla di percosse, le versioni contradditorie rese dai due, le celle che agganciano i cellulari sempre in movimento a parte un vuoto nel bosco di Vestone. Al contrario per la difesa la genuinità della ritrattazione della donna è provata dal fatto che la stessa ha tentato più volte di parlare prima del processo senza esserci mai riuscita. "E non c’è riuscita nemmeno in udienza preliminare, perché non è stata citata". E ancora. "Che sequestro sarebbe quello in cui la vittima non viene legata e pur avendo le portiere non bloccate non scende mai durante il tragitto, nemmeno ai semafori o al distributore benzina, né chiede mai aiuto?" ha sottolineato nella sua arringa l’avvocato Andrea Cavaliere chiedendo l’assoluzione o in subordine la riqualifica del sequestro in violenza privata. E il collega Gianfranco Trullo: "Un teste ha riferito che era lei a picchiare lui. Le lesioni refertate non è chiaro quando e come la donna se le sia procurate".