La pensione delle donne? È magra Scontano precariato, figli e “cura“

Il 78% percepisce meno di mille euro al mese; quasi assenti nelle fasce di reddito più alto

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di Federica Pacella

Non è un Paese per pensionate: nel Bresciano, il 78% delle donne in pensione percepisce meno di 1000 euro. Sono 150mila le pensionate (su 191mila) che rientrano nella fascia sotto i 500 e tra i 500 ed i 1000 euro; tra gli uomini, il numero scende a 65mila (il 39% dei pensionati). Una sproporzione di genere evidenziata dal direttore dell’Inps Brescia, Francesco Ricci nel webinar promosso da Coordinamento Donne Cisl e Fnp Brescia ‘La pensione delle donne’. Ricci ha sottolineato che Brescia, sul fronte del gap di genere in ambito previdenziale, non fa eccezione rispetto al quadro nazionale. Se le donne ‘primeggiano’ nelle fasce di reddito più basso, sono quasi del tutto assenti in quelle con importi più elevati: sono 30 mila i pensionati che percepiscono più di 2mila euro, 4.100 le donne; sopra i 3mila, sono 8115 gli uomini, 700 le donne.

Grande la disparità anche nell’ambito di pensioni ed assegni sociali, destinati a chi non ha contributi né altri redditi: sono 6165 le donne che li percepiscono, più del doppio rispetto ai 3mila uomini. L’aspettativa di vita pesa sulle pensioni superstiti: sono 8118 gli uomini beneficiari contro 66mila donne.

A livello di tipologia di pensione, solo 24mila lavoratrici hanno avuto accesso a quella anticipata con un importo medio di 1340 euro, contro i 96mila uomini con un importo medio di 1806 euro. La prospettiva si ribalta per le pensioni di vecchiaia: 62mila le donne contro 26mila uomini, con redditi medi di 577 euro contro i 782 dei colleghi. Va detto che la pensione è specchio dell’attività lavorativa, che per le donne è penalizzata da periodi di interruzione prolungata (maternità, cura dei genitori) e contratti part-time. Col Covid, la situazione rischia di peggiorare. "Col regime contributivo, che sarà quello ordinario di accesso alla pensione – spiega Ricci – non sono previste per ora forme di tutela a livello di integrazioni al minimo o per sostenere il reddito pensionistico di chi ha avuto carriere interrotte, frammentate o retribuzioni non adeguate. Si parla di donne, ma anche di giovani, che si troveranno a fare i conti con una prestazione pensionistica non all’altezza di quelle percepite da generazioni precedenti, su cui il nostro Paese deve fare qualcosa". Ma come intervenire? "Lo si può fare può in sede di regime di calcolo o di misura delle pensioni – conclude Ricci - ma anche durante la carriera, per incrementare il valore di determinati periodi di lavoro o non lavoro che spesso coinvolgono le donne".