Brescia, investì una donna: condannato dopo 21 anni

Quattro mesi di carcere per la morte di una ciclista che travolse con il suo camion e rimase in stato vegetativo per 14 anni, prima di morire

Un'ambulanza che presta soccorso

Un'ambulanza che presta soccorso

Brescia, 18 marzo 2018 - Il 15 maggio del 1997, mentre era alla guida del suo camion a Montichiari lungo la statale Goitese, ha investito una donna albanese di 38 anni e residente a Montichiari che pedalava su quella stessa strada. Un impatto violento e per le gravissime ferite riportate la signora, sposata e madre di due figli, rimase in stato vegetativo fino all’1 aprile del 2011 quando a causa di un’infezione (una sepsi da pseudomonas e candida) è morta.

Nelle scorse ore l’investitore, un pensionato mantovano di 65 anni, ventuno anni dopo l’incidente e a quasi sette dal decesso è stato condannato a quattro mesi di reclusione (la pena è stata sospesa) e resterà per un anno senza patente. Omicidio colposo il reato contestato all’anziano, indagato - fino alla morte della 38enne - solo per lesioni gravissime. «Quel giorno ho visto la signora cambiare improvvisamente direzione - aveva spiegato l’uomo agli inquirenti quando nel 2015, 18 anni dopo l’incidente, lo avevano sentito - Non potevo evitarla». Il giudice gli ha riconosciuto tutte le attenuanti del caso compreso l’avere versato, attraverso la sua assicurazione, ai familiari della vittima dell’incidente circa 400mila euro come risarcimento per il danno subito.

La pubblica accusa aveva chiesto un anno di reclusione mentre la difesa del 64enne, nel corso del dibattimento iniziato nell’ottobre del 2016 (la richiesta di rinvio a giudizio era stata depositata dalla Procura nel gennaio di quell’anno), aveva invece sostenuto che il decesso non fosse una conseguenza dell’incidente avvenuto ben 14 anni prima. Per il consulente della difesa l’infezione, che già all’inizio del 2011 aveva provocato i primi sintomi, poteva essere stata stata provocata dalla Peg, la gastrostomia endoscopica percutanea, un “sondino” che entra direttamente nell’apparato digerente, utilizzato per l’alimentazione di chi non è in grado di farlo autonomamente.

La donna, dopo una prima fase di degenza in ospedale, venne trasferita in un istituto riabilitativo e quindi nella propria abitazione. Proprio in uno di questi passaggi, secondo la difesa dell’ex camionista, potrebbe essere insorta l’infezione che ha causato il decesso. Una ricostruzione che però non ha convinto il giudice. La vicenda è ora a un passo dalla conclusione. Il legale dell’uomo, l’avvocato Felice Arco, ha preannunciato ricorso in appello ma a ottobre scatterà la prescrizione e su questa lunghissima storia processuale all’italiana calerà definitivamente il sipario.