Immunodepressi, terza dose necessaria

Uno studio statunitense e di Spedali Civili e Università rivela che per chi ha poche difese la copertura standard non è sufficiente

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I dati arrivano dallo studio su 83 pazienti affetti da varie forme di immunodeficienza.

di Federica Pacella

Copertura anticorpale più debole nelle persone con immunodeficienze: ecco perché serve la terza dose per i fragili e perché la copertura vaccinale deve essere più ampia possibile per tutelare chi non si immunizza col vaccino. I dati arrivano dallo studio su 83 pazienti affetti da varie forme di immunodeficienza realizzato dal National Institute of Health (NIH) di Bethesda (USA) con Asst Spedali Civil ed Università degli studi di Brescia, pubblicato nei giorni scorsi sulla rivista scientifica The Journal of Allergy and Clinical Immunology. La ricerca rivela, in particolare, che tra i pazienti con immunodeficienze solo il 59% raggiunge una copertura anticorpale dopo la prima dose di vaccino; la percentuale raggiunge l’85% dopo la seconda dose, ma con livelli di anticorpi variabili. Di contro, tutti gli operatori sanitari degli Spedali Civili senza problemi immunitari che si sono offerti volontariamente di partecipare allo studio (una quarantina), hanno risposto bene già alla prima dose. "Un 15% di persone con immunodeficienza, di fatto, non risponde per nulla, nonostante l’elevata sensibilità del test americano utilizzato", evidenzia Luisa Imberti, della Clinica di malattie infettive e tropicali dell’università e del Laboratorio Crea del Civile con che ha lavorato alla ricerca con Luigi Notarangelo e Ottavia Delmonte dell’NIH, e con Eugenia Quiros-Roldan, sempre di Crea e Clinica malattie infettive.

Di fatto, facendo luce sull’azione dei vaccini anti Sars-Cov2, soprattutto tra i più fragili, la ricerca entra nel vivo del dibattito mondiale sull’’importanza di somministrare una terza dose di richiamo ai pazienti con difetti immunitari, come raccomandato dal Center for Disease Control americano per i vaccini a base di mRNA. "Lo studio inoltre – evidenzia Imberti – ci ricorda ci ricorda che solo la vaccinazione della maggior parte della popolazione può ridurre la circolazione del virus e, quindi, creare uno scudo in grado di proteggere anche i pazienti più fragili, che sono più a rischio di malattia grave se infettati dal virus. Credo che sia una questione di senso civico e morale".