Brescia, schiavizzata per anni dal marito: "I miei diritti? Credevo di non averne"

Ha deposto ieri in Tribunale la moglie dell’ex telepredicatore accusato di averla picchiata e brutalizzata ripetutamente

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di Beatrice Raspa

Per due ore ha riavvolto il nastro degli anni vissuti con il marito, padre dei suoi tre figli di appena 3, 5 e 7, seduto in aula dove era impossibile un incrocio di sguardi. È entrato subito nel vivo con la deposizione della parte offesa ieri il processo a Abu Ammar Al Sudani, 47enne sudanese arrestato un anno fa per maltrattamenti e lesioni aggravate. L’uomo – già alla ribalta delle cronache per le trasmissioni in lingua araba dirette alla comunità musulmana di Brescia andate in onda tra le polemiche su televisioni locali – è accusato di avere brutalizzato e pestato ripetutamente una connazionale di 20 anni più giovane.

Arrivata in Italia nel 2012 in seguito a un matrimonio combinato, Kalifa – nome di fantasia – oggi alloggia con i piccoli in una struttura protetta. Il marito da qualche mese invece è tornato in libertà. Botte, schiaffi, vessazioni e umiliazioni, perpetrate persino durante le gravidanze, iniziarono subito, ha raccontato la ragazza. La sua era una vita divieti: non aveva nessun telefono a disposizione, se non un apparecchio con una scheda sim da utilizzare solo per comunicare con l’imputato, nessuna possibilità di uscire da casa se non con lui, nemmeno per andare al supermercato. E ancora, non poteva contattare i genitori, né frequentare amicizie. Stando alla signora bastava un’inezia – per esempio la decisione di un acquisto di biancheria per la casa presa in autonomia – per scatenare le reazioni violente del compagno, che in una circostanza per punirla le avrebbe persino rovesciato in testa il secchio della spazzatura.

Agli atti ci sono accessi al Pronto soccorso per lesioni, che però lei giustificava come infortuni domestici. E tutto questo, ha spiegato, per lungo tempo pensava fosse normale: "Non sapevo che le donne qui avessero gli stessi diritti degli uomini". A illuminarla fu un’amica, all’epoca della seconda gravidanza. Ma passarono ancora anni turbolenti. In occasione di un ricovero in ospedale di dieci giorni la giovane aprì un timido spiraglio nel muro del silenzio, tenuto in piedi anche di fronte agli assistenti sociali. Determinante a ottobre 2019 l’intervento di un parente che scoprì i segni delle botte sotto il chador e fece arrestare Al Sudani. Il 13 novembre la parola alla difesa.