Suicida a 14 anni. La psicologa: "I ragazzi non distinguono identità online e offline"

Brescia, l’esperta dopo la morte del 14enne di Gussago: "Vediamo sempre più fragilità, gli adulti dovrebbero ascoltarli"

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Brescia - "Per i ragazzi non c’è più una distinzione netta tra identità online ed offline, ma possiamo imparare ad ascoltarli, per aiutarli a non cadere nel baratro della fragilità". Questa la riflessione di Paola Cattenati, responsabile del Criaf (Centro riabilitazione infanzia adolescenza e famiglia con sede a Pontevico, nel Bresciano) nonché membro della Commissione Nazionale sul disagio adolescenti e bullismo del ministero dell’Istruzione, all’indomani della vicenda del 14enne che si tolto la vita, sul cui gesto ci sarebbe l’ombra di un gioco visto sui social. "Non conosco direttamente la vicenda e non ho elementi per esprimermi in merito. Quello che posso dire è che, lavorando anche a stretto contatto con le scuole, registriamo un aumento del disagio giovanile con casi di autolesionismo o anche tendenze al suicidio, che poi possono portare a queste tragedie". Sono sempre di più i ragazzi che si rivolgono agli sportelli psicologici aperti nelle scuole, per disagi personali che possono essere amplificati poi da dinamiche innescate da bullismo e cyberbullismo, ma anche da situazioni di fragilità che non si riescono a superare.

"Vediamo tantissima fragilità – sottolinea Cattenati – di fronte a problematiche che, per essere affrontate, necessitano a volte solo di quale piccolo suggerimento. In questo i ragazzi sono poco autonomi, faticano a trovare il senso della misura, a dare il giusto peso alle cose".

Situazioni banali, così, diventano problemi che creano ansia, alimentata talvolta anche dalle aspettative di un mondo adulto che, a sua volta, non riesce a comprendere la ‘fatica’ di essere giovani. Ad aumentare il divario generazionale, ci sono i social, così famigliari per i giovani, così poco capiti dagli adulti. "Per i ragazzi non c’è più una distinzione tra l’identità online e quella offline. I ‘like’, per loro, sono un modo per sentirsi visibili, apprezzati. Noi cerchiamo di lavorare molto su questo, sul diversificare gli amici virtuali da quelli reali". Da parte loro, genitori, educatori, non dovrebbero cadere nel pregiudizio: piuttosto che limitarsi a criticare l’uso smisurato di social e videogiochi, primo passo dovrebbe essere di cercare di conoscere e capire ciò che i ragazzi fanno sul web. "Non è semplice – sottolinea Cattenati – ma sicuramente farsi raccontare i giochi che fanno è un primo passo, anche perché non tutto è negativo: ci sono dei programmi o dei giochi che sono molto utili, per cui vale la pena conoscere questo mondo. Dobbiamo metterci all’ascolto, altrimenti non si recupera il divario esistente".