The Floating Piers: selfie e follie, fenomeno Christo. Vitali: io non c’ero e me ne vanto

Chiude l’installazione: bilancio record

In coda per The Floating Piers

In coda per The Floating Piers

Sulzano, 4 giugno 2016 - «L'aurea mediocrità tanto apprezzata dagli antichi non è più di moda, e i suoi seguaci sono costretti a sopportare il garbato scherno di chi non vede merito nella moderazione, né virtù nel buonsenso… Che gli altri vivessero pure pericolosamente, ardenti di una salda fiamma gemmea: chi giocando il patrimonio su una carta, chi camminando su una fune che conduce alla gloria o alla tomba, chi rischiando la vita per una causa, una passione o un’avventura». Così W. Somerset Maugham descrive il pensiero applicato alla vita di Richard Harenger, protagonista di uno dei suoi tanti e amabili racconti. Mi faccio dono di questa citazione, pregando chiunque se ne voglia servire di farlo, per spiegarmi perché mai non abbia minimamente avvertito il bisogno di camminare sulle acque del lago d’Iseo.  Mi giustifico così, conscio dei confini operativi che mi sono dato, e scevro dall’idea di voler fare, di quelle stesse righe, uno strisciante atto d’accusa verso coloro che d’ora in avanti potranno dire «Io c’ero». Ciascuno di noi ha diritto di conservare i propri selfie a beneficio dei nipoti e ben vengano nonni e nonne che potranno dire: «Ho camminato sulle acque» così come io potrei adesso, se l’avessi, raccontare a un mio nipote di aver assistito ai primi passi dell’uomo sulla Luna. La differenza sta nella sostanza, chi c’è stato e chi no. Da una parte avrà pesato certamente un certo spirito d’avventura controllata o l’illudersi d’essere miracolo vivente per un paio d’ore oppure il desiderio di non sentire il solito spazio intorno malgrado spesso, vedendo alla tivù l’affollamento della passerella, il termine “vasca” riferito ai passeggi domenicali nei viali nobili delle città mi sia sembrato la didascalia migliore. Dall’altra parte invece, parlo per me e per chi volesse sottoscrivere, pigrizia, indifferenza, mea culpa!, e in fondo una domanda: ci andassi, cosa cambierebbe? L’effimero, poiché anche la passerella è tale ormai come ogni cosa che passa e va, non avrebbe un motivo in più per mettere a dimora i semi del tempo perduto? 

Peraltro non posso che dichiararmi soddisfatto per chi ha calcato l’imaginifico sentiero sull’acqua, (ne ho conosciuti parecchi e ne ho colta la difficoltà a tradurre in parole l’ineffabile sensazione di essere in qualche modo tra gli eletti) e per chi invece non ha rimpianto alcuno per «la rosa che non colse». Come tra due staterelli che si guardano in tralice convinti che la ragione sia tutta loro c’è però una terra di mezzo o di nessuno, terra affollata dove regna sovrano il rimpianto, forse il dolore, di tutti coloro che avrebbero voluto ma per le ragioni più varie non hanno potuto. Il desiderio insoddisfatto non li avrà certamente condotti al suicidio, piuttosto alla ricerca di un antidoto per elaborare il lutto dello smacco.  Magari potrebbe essere utile, ora che è stato scoperto dal mondo intero, andarsi a guardare quello stesso lago, pur se privo della passerella grazie alla quale si è lasciato passeggiare. Rendendosi conto che si può avvertire la felicità anche così, coi piedi saldamente sulla terra. Ed essere proprio come il protagonista del racconto di cui sopra che era un uomo felice. Perché, «malgrado ciò che dicono i pessimisti dall’Ecclesiaste in poi, non è cosa rara in questo mondo infelice; ma Richard Harenger se ne rendeva conto, e questa è cosa rarissima».