Fatture false per 268 milioni, quattordici le richieste di condanna

Secondo il pm Fabio Nevio Cherin e la compagna Giovanna Ferlighetti avevano creato un “laboratorio di ingegneria fiscale“

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Quattordici richieste di condanna per “Evasione continua due“, l’inchiesta che nel gennaio 2022 aveva fatto finire in manette 26 persone e sotto inchiesta 104. All’apice di una presunta associazione per delinquere finalizzata alle frodi fiscali, all’evasione e al riciclaggio vi sarebbe per l’accusa uno studio contabile di Sirmione, gestito da Fabio Nevio Cherin, dalla compagna Giovanna Ferlighetti e dalla figlia della signora, Luisa Franzoni. Il pm Claudia Passalacqua, titolare dell’inchiesta, nonché della precedente indagine “Evasione continua uno“ già sfociata in pesanti condanne, ha chiesto per Cherin nove anni di carcere, per la compagna e la figlia sette. I numeri del “laboratorio di ingegneria fiscale“, tale lo ha definito l’accusa, sarebbero da capogiro: fatture false emesse per 268 milioni di euro, abbattimento dei debiti Iva per 47 milioni, Ires evasa per 58 milioni, 21 milioni di crediti fittizi ceduti e compensati illecitamente da imprenditori desiderosi di fare i furbi con le tasse. Il trio famigliare era finito in cella con commercialisti e altri professionisti. Tra loro Massimo Battezzi (questi ai domiciliari, coinvolto pure in “Evasione continua uno“, ritenuto a capo di numerose cartiere), per il cui in pm ha chiesto sei anni con la concessione delle attenuanti generiche in virtù delle autodichiarazioni rese in fase d’indagine. Nel complesso hanno scelto riti alternativi 17 imputati: tre si sono sfilati patteggiando nelle scorse settimane, gli altri invece stanno appunto affrontando l’abbreviato, i rimanenti sono a dibattimento.

Ieri al gup Andrea Gaboardi la procura ha concluso la requisitoria sollecitando la condanna di tutti gli imputati e quantificando pene dai 2,9 anni fino ai nove. Stando alle risultanze investigative alla base della frode vi sarebbe sempre il trucchetto della fornitura dei pacchetti di crediti falsi, asseverati da professionisti compiacenti, a una parte di imprenditoria marcia che li compensava con i propri debiti ed era ben consapevole del raggiro. Alcuni imprenditori infatti percepivano parte degli utili dei proventi riciclati all’estero, su conti aperti in Slovacchia Ungheria, Croazia, Malta.

Proventi poi monetizzati da spalloni e divisi tra gli esponenti del gruppo. Al sodalizio sarebbero riconducibili 126 società , di cui molte “cartiere“, sparpagliate tra Brescia, Bergamo, Milano, Monza, Torino, Pavia, Alessandria, Parma, Genova, Latina, Firenze, Pesaro, Trapani, Salerno e Bari. "I promotori sono i consulenti fiscali, che sfruttavano vari meccanismi: dall’accollo fiscale alle cessioni di rami d’azienda, alle fusioni societarie - aveva chiarito in conferenza stampa il procuratore Francesco Prete -. Il danno erariale causato è enorme, difficilmente quantificabile".

B.R.