"Famiglie lasciate sole, difficoltà ben peggiori"

L’accusa: siamo il Paese delle tavole rotonde sul tema ma senza un vero progetto

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Una mole di domande, colloqui, documenti nel pre-adozione, con un iter in cui ogni aspetto della coppia viene “vivisezionato”. E va benissimo che sia così. Peccato, però, che quando genitori e figli scendono dall’aereo a conclusione di un’adozione internazionale, ci sia per lo più il vuoto anche quando chiedono aiuto. Nella maggior parte dei casi, le famiglie in qualche modo se la cavano, appoggiandosi ad associazioni e pur avendo poche risorse, visto che i rimborsi coprono a mala pena le spese per le pratiche adottive. Nei casi più complessi, senza una rete, le difficoltà diventano crisi.

Lo sa bene Fabio Selini, bresciano residente nella Bergamasca, padre adottivo, con tre storie diverse di adozioni, di cui una si è trasformata in una crisi adottiva. "Io sono un genitore sicuramente arrabbiato, se vogliamo anche prevenuto, ma che spera sempre di essere smentito – spiega –. Quando il numero di adozioni è iniziato a calare, lo sport nazionale era quello di addossare la colpa ai genitori. Ora arriva questo rapporto con cui si “scoprono” le crisi adottive, con numeri, per altro, che arrivano solo fino al 2016".

L’esperienza evidenzia la grande solitudine delle famiglie: manca la presa in carico, l’accompagnamento, la verifica, l’aiuto. "C’è molta attenzione sulle coppie adottive, pochissima sulle famiglie. Anche dove non ci sono crisi, non significa che non ci siano difficoltà. Le famiglie tacciono perché non sanno a chi chiedere. Se non c’è attenzione da parte dei servizi, però, le difficoltà possono diventare crisi e fallimenti. E la responsabilità cade sempre sul genitore, il dramma sui figli, mentre gli altri sembra che abbiano sempre fatto il loro dovere". La percezione è che i genitori siano considerati causa del problema. "Ci dicono sempre che si deve guardare l’interesse del bambino. Ma se non si aiuta la famiglia, come si può fare il bene del minore? Se di fronte alle difficoltà ci si sente inascoltati, colpevolizzati, è chiaro che il progetto va in crisi".

Rischia di essere un limite, inoltre, focalizzarsi sugli special needs. "Buona parte dei bambini adottati ha bisogni speciali che magari non sono evidenti nelle schede di abbinamento, ma che è probabile si evidenzino col tempo, senza che ci sia nessuno pronti ad accoglierli". Il timore è che, spenti i riflettori del report, non cambierà nulla. "Siamo un Paese che si riempie di tavole rotonde sulle adozioni, ma mancano professionisti, risorse, progetti".