Donne uccise, l’onta lombarda: primi in Italia

Arresti e nuove leggi, ma il fenomeno non si ferma. Polemica a Brescia: negata la panchina rossa all’ultima vittima

una delle tante panchine rosse in Lombardia

Cristina Maioli, uccisa a ottobre dal marito.

Brescia, 23 novembre 2019 - Luci e ombre. La Lombardia, stando ai dati diffusi nell’ultimo rapporto dell’agenzia Ue Eures, resta la prima regione in Italia per numero di femminicidi. Venti nel corso del solo 2018, con alcune realtà in particolare a guidare la classifica: Monza e Milano. Un fenomeno che allarma, nonostante l’adozione di norme più severe e di procedure rapide per intervenire dopo una denuncia. Secondo la divisione Anticrimine della Questura di Milano, però, qualcosa sta iniziando a cambiare. Nel biennio 2018-2019 calano del 16,7% le violenze sessuali e del 2,9% i maltrattamenti in famiglia. Un albero che cade fa più rumore di una foresta che cresce, recita un aforisma. Allo stesso modo, si potrebbe dire che di panchine rosse Brescia ne inaugura quasi una al mese, con poco clamore, ma è proprio quella che manca (per ora) a far rumore. Il caso arriva da un quartiere della città, Crocifissa di Rosa, teatro, il 5 ottobre scorso, dell’uccisione di Cristina Maioli da parte del marito. L’uomo aveva poi tentato il suicidio: un gesto tragico, forse scaturito da una crisi depressiva, che aveva portato l’istituto in cui la donna lavorava come insegnante a impegnarsi ad attivare iniziative contro la violenza sulle donne. Lo stesso motivo ha indotto, un mese fa, Andrea Zucchini, membro del consiglio di quartiere, a proporre ai colleghi di intitolare una nuova panchina rossa nel quartiere alla memoria di Maioli. Un gesto simbolico, bocciato – almeno temporaneamente – da tre consiglieri su cinque. «Un’occasione persa per il quartiere», scrivono Zucchini, Patrizia Viviani, Luigi Fraccaroli. Le motivazioni, in effetti, lasciano spazio a qualche perplessità. «Il motivo, da parte mia – ha spiegato il presidente Gaetano De Maio – è che non tutti gli omicidi di donne sono femminicidi. Inoltre, non sono passati i 10 anni canonici, richiesti quando si dedica una strada o un sito pubblico a qualcuno. Terzo motivo è che non conosciamo i dettagli del menage familiare di queste due persone. Il quarto è che l’iniziativa delle panchine rosse prevede che tutte le targhe siano uguali».

La vicepresidente , Elide Frugoni, precisa che si tratta di uno stop momentaneo. «Volevamo sentire prima la famiglia, non volevamo creare ulteriori problemi. Non è che noi non vogliamo, io personalmente ho continui rapporti con Casa delle donne, a cui abbiamo anche fatto delle donazioni. Dobbiamo metterne tre di panchine, non si può dire assolutamente che non ci sia sensibilità». Sconcerto dall’assessore alle pari opportunità di Brescia, Roberta Morelli. «Questo dimostra che c’è ancora molto da fare – sottolinea – non è vero che non ci siano targhe dedicate a singole vittime: le abbiamo fatte per Emanuela Bailo, Sana Cheema, Marta Baroni. Anche quello di Maioli è un femminicidio, per il legame che c’era tra la donna e il suo omicida. Né si può decidere di non prendere posizione perché non si sa quali fossero i rapporti familiari, quasi trovando una giustificazione. Spero in un ripensamento».