Omicidio Desirée Piovanelli: il papà e il condannato, nemici uniti contro il processo

Sedici anni dopo il massacro la richiesta di revisione

Desirée Piovanelli

Desirée Piovanelli

Brescia, 11 gennaio 2019 - La storia, anche quella giudiziaria, propone coincidenze curiose. Ecco allora che a oltre 16 anni dall’omicidio di Desirée Piovanelli la famiglia della piccola vittima e i legali del principale condannato si trovano a percorrere un tratto di strada in parallelo, e a chiedere, di fatto, la stessa cosa: un nuovo processo. Nella convinzione comune, maturata con percorsi diversi, che c’è un’altra verità su quanto accadde il 28 settembre del 2002, quando Desy, 15 anni da compiere, studentessa di liceo, con il pretesto di vedere dei gattini, fu alla cascina Ermengarda. L’attendeva un gruppo, “branco” venne subito definito: tre ragazzi, due sedicenni e un quattordicenne, e un adulto, Giovanni Erra, all’epoca trentaseienne e padre di un bambino allora di 8 anni. In uno uno scenario di orrore infinito, secondo le sentenze, ragazzina venne massacrata a coltellate per essersi ribellata a un tentativo di violenza. Il 1° luglio 2004 la Cassazione rende definitive le condanne dei tre minori pronunciate, con lievi sconti, l’anno prima, dalla Corte d’appello per i minori: 18 anni a Nicola B. (20 anni in primo grado); 15 anni e 4 mesi a Nicola V. (16 anni la prima condanna); 10 anni a Mattia F. Ora sono tutti liberi. Maurizio Piovanelli, il padre di Desy, oggi ha 58 anni. I cronisti lo ricordano mite, minuto, sostenuto dalla sua fede di testimone di Geova. La scorsa estate ha depositato un esposto alla Procura di Brescia, sei pagine con nomi, circostanze e audio.

Un quadro che portava nella direzione della pedofilia organizzata, festini con droga e potenti boiardi della zona a caccia di ragazzine. «Dopo 16 anni – aveva detto – ho le prove: la volevano rapire». Nessuna scusa dai piccoli carnefici della figlia. «Solo l’unico che è rimasto a vivere in paese mi ha avvicinato perché voleva parlarmi». Parlare, svelare qualcosa? «In quattro per abusare di una ragazzina e poi non ci sono nemmeno riusciti? E le fascette? Il coltello? Erra arrivato sul posto con l’auto in retro come se volesse caricare qualcuno? Volevano rapirla, Desy. Lo sanno tutti. C’è un’organizzazione di pedofili con le spalle coperte da un personaggio importante, che paga chi porta minorenni. Si servono di coetanei per adescarle. È così anche ora».

Giovanni Erra sconta 30 anni. Dal carcere di Bollate ha chiesto ai suoi legali, Nicodemo Gentile e Antonio Cozza, di raccogliere elementi per la revisione. «Incarico esplorativo», dice Gentile. L’iniziativa nasce sulla scia di quella del padre di Desirée? «Assolutamente no – dice Cozza –. Giovanni ci aveva conferito l’incarico mesi prima. È quasi un anno che andiamo avanti e indietro con Brescia per acquisire gli atti. L’iniziativa del signor Piovanelli ci ha sorpreso in modo positivo. Chi legge il fascicolo processuale si rende conto che le sentenze non dicono quello che realmente accadde. Non c’è alcuna traccia di Giovanni Erra nella cascina, mentre c’è il Dna di due dei ragazzi. Vedremo se ci saranno i margini per chiedere la revisione. Lo facciamo con il massimo rispetto per il dolore della famiglia. Ci sono elementi anche importanti che diremo a tempo debito. Qualcuno sa. Ora ci aiuti». Ma perché Erra si è deciso soltanto dopo tanto tempo? «Lo fa già da qualche anno. Nell’immediatezza del fatto non ha detto la verità. Le ritrattazioni sono i comportamenti di una persona con problemi, droga, alcol. Per quel giorno ha un alibio. Due giorni dopo fu martoriato il cadavere e lui non c’era».